L’Italia ha bisogno di raccomandati. In Italia, nessuno è scelto. Non direttamente, almeno.
Nessuno.
“Ha vinto un concorso, per questo è qui.”.
Bisogna vincere concorsi per fare quasi qualunque impiego pubblico.
Un esempio? Entrare in un dottorato di ricerca o nelle specializzazioni mediche.
Pertanto, se un professore pensa che il proprio studente sia un candidato ideale per fare il dottorato nel suo laboratorio non può raccomandarlo.
Il professore non può sceglierlo direttamente.
Il suo studente dovrà fare un concorso ed essere valutato.
Questo è ottimo, direte.
“Anch’io voglio fare il dottorato con quel professore: me la gioco nel concorso”.
Tuttavia, è il professore (o una commissione di professori) a scegliere chi è il vincitore del concorso.
Giustamente. È il suo laboratorio.
Il professore non può scegliere chi vorrebbe, ma decide chi ha vinto il concorso.
E se questo è un fannullone, incompetente, un figlio di qualcuno, la colpa non è del professore che effettivamente lo ha scelto. Perché lui “non lo ha scelto”.
La colpa è del concorso.
Non sarebbe forse meglio che i professori debbano chiaramente, ed apertamente, dire chi vogliono?
Questo, all’estero, avviene normalmente in molte università.
Un professore si assume la responsabilità di scegliere il suo studente e di pagarlo.
Ci mette la faccia, insomma.
Velocizziamo il sistema.
Mettiamoci la faccia.
Raccomandiamo.