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L’esperanto, la lingua del dottore speranzoso

Era il 1° 1968 quando Giorgio Rosa dichiarava l’indipendenza dell’Isola delle Rose, di cui si proclamava presidente. Quello del Governo della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose fu un esperimento singolare, che tuttavia riaccese i riflettori sulla lingua artificiale dell’esperanto.
Per lingua artificiale – o conlag – si intendono tutte quelle lingue create da una persona o da un gruppo di lavoro, che ne sviluppano sistematicamente la fonologia, la grammatica e il lessico. A differenza delle lingue naturali, quelle artificiali non sono sviluppate né affermate nelle culture umane in maniera spontanea. Occorre precisare subito che, talvolta, le lingue sono costruite affinché possano essere utilizzate come lingue internazionali ausiliari; altre vengono invece create nella sperimentazione linguistica, nello sviluppo di codici oppure per opere di finzione, come il Sindarin o Grigio Elfico, la lingua artificiale di Arda creata per l’immaginario fantasy de Il Signore degli Anelli da J.R.R. Tolkien.
In riferimento alle lingue ausiliarie internazionali, viene spesso adottato il sinonimo di lingua pianificata: è il caso, appunto, dell’esperanto. Gli esperantisti rifiutano infatti il termine artificiale poiché ritengono che denoti l’innaturalità del comunicare attraverso questa lingua.

Cos’è, quindi, l’esperanto?

Si tratta della lingua ausiliaria internazionale (LAI) più conosciuta e utilizzata, sviluppata dall’oculista polacco di origini ebraiche Ludwik Lejzer Zamenhof tra il 1872 e il 1887 con lo scopo di favorire l’avvicinamento tra i popoli attraverso l’uso di una lingua appartenente all’umanità, semplice e al contempo espressiva. La denominazione esperanto deriva dallo pseudonimo che Zamenhof assunse, Doktoro Esperanto, che significa – in lingua esperanto – «dottore speranzoso».

Le regole della grammatica furono stabilite dallo stesso Zamenhof sulla base delle lingue da lui studiate, affinché fossero semplici da comprendere e potessero dare all’esperanto la stessa espressività di una lingua etnica. I vocaboli derivano invece da idiomi preesistenti: latino, lingue slave (russo e polacco), giapponese, lingue germaniche (inglese e tedesco) e lingue romanze (italiano e francese). Per via delle forme regolari, è una lingua semplice da imparare anche in età adulta o da autodidatti. Secondo il metodo Paderborn, inoltre, lo studio dell’esperanto in età scolare ne fa una lingua di più facile apprendimento rispetto ad altre lingue straniere.
L’espressività dell’esperanto viene dimostrata sia dalla produzione artistica, che va dalla poesia al teatro, che dalla traduzione di opere di notevole spessore letterario. La logica che la caratterizza la rende poco ambigua e, quindi, adatta all’informatica e alla linguistica computazionale.
L’alfabeto dell’esperanto è composto da 23 consonanti e 5 vocali; a ciascun fonema corrisponde una lettera, creando così una assoluta trasparenza fonologica. La variabilità della pronuncia è ristretta e la scrittura è monogrammatica: a ogni grafema corrisponde un fonema e viceversa.

Si stima che, oggi, siano presenti esperantofoni in 120 Paesi al mondo, soprattutto in Europa, Cina e Brasile, e almeno 1,6 milioni di parlanti a livello 3 di lingua straniera – che corrisponde a una competenza tale da poter sostenere una conversazione che vada oltre le frasi di circostanza. Sarebbero inoltre tra 200 e 2000 i denaskaj Esperanto-parolantoj, cioè i parlanti l’esperanto come madrelingua. Grazie alla diffusione delle associazioni esperantiste e alla facilità di apprensione della lingua, il numero di esperantisti è in aumento: si stima infatti che bastino circa 6 mesi di studio per avere una buona padronanza dell’esperanto.
Difficile stabilire quale sia il futuro di questa lingua, poiché la sopravvivenza di ciascuna è legata all’uso e alla diffusione. Quel che è certo è che continuerà a ispirare molti, grazie agli ideali di armonia internazionale che promuove.

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