Negli ultimi giorni, nei palazzi di governo, si sta molto discutendo di legge di stabilità e di come apportare una revisione alla spesa pubblica che permetta di tagliare le tasse al fine di dare sostegno all’economia.
La spending review, secondo gli ultimi aggiornamenti, si aggirerà su una cifra intorno ai 5-6 miliardi e comporterà principalmente tagli ai ministeri (per circa 3,4 miliardi), effettuati in percentuale fissa e perciò catalogabili come semi-lineari. Altri 1,8 miliardi saranno garantiti da un (parziale) mancato aumento dei fondi per la sanità, mentre il nuovo meccanismo per la centralizzazione degli acquisti, permetterà un risparmio per circa 218 milioni, cifra decisamente inferiore rispetto a quella prevista inizialmente che si aggirava tra 1,5 e 2 miliardi.
A questi tagli si aggiunge, nella bozza presentata da circa una settimana, un’ulteriore voce di 3 miliardi di tagli, indicata come “maggiori efficientamenti”.
Sarà di importanza non certo marginale riuscire a capire a cosa questa voce faccia riferimento, poiché gli 8 miliardi totali rappresentano l’unica vera copertura di una manovra per oltre i due terzi in deficit. La tabella allegata al Documento programmatico di Bilancio, mostra che dei tagli certosini ipotizzati dal prof. Perotti e da Gutgeld, è rimasto ben poco, sostituiti dai tagli lineari ai quali siamo ormai abituati.
Anche le Regioni subiranno dei tagli e dovranno garantire il pareggio di Bilancio, lasciando ai singoli governatori la possibilità di decidere se tagliare ulteriormente la sanità o se orientarsi verso la riduzione delle spese su consulenza, uffici o sedi.
A cosa serviranno questi tagli? Cosa andranno a finanziare? Ciò che la legge dovrebbe prevedere è il taglio delle tasse, a partire da quelle sulla prima casa. La riduzione di imposta, dovrebbe aggirarsi sui 22,8 miliardi di euro.
E’ tuttavia importante precisare che i tagli di imposta effettivi sarebbero ben minori di quelli calcolati. Infatti il totale include anche il mancato aumento dell’IVA e delle accise causato dallo scattare delle clausole di salvaguardia, che ammonterebbero a circa 16 miliardi. In questo modo, se dai circa 19,8 miliardi di tagli (calcolati senza tener conto delle entrate una tantum derivanti dal rientro dei capitali- circa 2 miliardi- e imposte temporanee e permanenti sui giochi per circa 1 miliardo) si sottraggono i 16,8 delle clausole di salvaguardia, si ottiene una riduzione di tasse che ammonta effettivamente a soli 3 miliardi, circa lo 0,2% del PIL.