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L’editoria spiegata da Virginia Stagni, la manager più giovane del Financial Times

Editoria, imprenditoria e product marketing, ecco qual è il business model di Virginia Stagni

Virginia Stagni, classe 1993, è la manager più giovane del Financial Times di Londra e si occupa di Business Development. Virginia è anche vincitrice del premio Italia Giovane 2020 ed è tra i 30 under 30 di “International Media and News Association (Inma) e Grand Prize Winner” per l’Europa.

Virginia ha dialogato con noi sul suo percorso di studi e lavorativo, sui suoi progetti, sulla crisi dell’editoria e sull’avvento dell’era digitale.

La ringraziamo per questa conversazione interessante, che possa ispirare molti ragazzi che vogliono intraprendere un percorso lavorativo in azienda o nelle testate giornalistiche d’eccellenza.

Ciao Virginia, quando eri bambina cosa avresti voluto fare da grande?

Sono sempre stata innamorata del mondo del giornalismo. La professione di giornalista o di inviata mi sarebbero piaciute… ma da piccola ho avuto sempre uno spirito da explorer, dunque: l’archeologa. Credo che dal passato si possa imparare veramente tanto sul presente ed il mestiere di archeologo e storico sono alle volte complementari a quello del giornalista.

Qual è stato il tuo percorso di studi e lavorativo?

Ho studiato al liceo classico ed ero appassionata di filosofia e lingue antiche.

Poi alla Bocconi ho conseguito una laurea in economia nel campo artistico e della comunicazione. Mi sono appassionata al mondo dell’editoria, non tanto in quanto giornalista, ma del business che sta dietro l’editoria. Da qui la scelta di conseguire un master in Media Communication presso la London School of Economics nel dipartimento di sociologia.

Dopo un anno in graduate scheme presso un’agenzia di stampa, sono arrivata al Financial Times. Per 13 mesi sono stata coordinator ed assistente di un manager e poi ho avuto un ruolo manageriale. Oggi mi occupo di un team di 5 persone, ma per alcuni progetti ne coordino 20-30. Sono stata la persona più giovane dentro il Financial Times ad essere diventata manager, avevo 24 anni.

Cosa pensi del giornalismo e dell’editoria rispetto ai giovani?

Posso rispondere a questa domanda su due fronti:

Da un lato, il rapporto che hanno i giovani con l’informazione. Non dobbiamo partire con il presupposto (errato) che i giovani non leggono i giornali e non si informano. Ci sono alcune statistiche che hanno dimostrato che i giovani, dopo la musica, sottoscrivono un abbonamento ai giornali online.

Il giovane ha voglia di ricerca ed analisi e si affida all’informazione di qualità, molto diversa dall’informazione in generale, vedi le fake news dilaganti. Se i giovani acquistano il Financial Times è per ricerca, per fare letture lunghe e capire meglio il mondo attraverso informazione di qualità. La ricerca di un’informazione frugale e veloce e lo stereotipo che i giovani non leggono è a mio avviso da sfatare. E’ un’assumption paternalistica e sbagliata.

Dall’altro lato della medaglia troviamo il rapporto tra l’editoria ed i giovani.

L’editoria si sta accorgendo che senza assicurarsi un gruppo di lettori futuri, per i prossimi 10 anni, se non c’è un’affiliazione da parte dei giovani a lungo termine (ad esempio del ragazzo di 15 anni che tra 10 anni ne avrà 25), non c’è prospettiva.

L’editoria deve costruire ed incentivare l’affiliazione del lettore. Il mass media che si rivolge senza personalizzare l’informazione è un meccanismo che non vale più nel mondo di oggi.

Parlo di product marketing: l’editore deve dare rilevanza ai giovani perché solo loro possono assicurare continuita’ nel business model editoriale

Quali sono secondo te i punti chiave per rendere effettiva questa strategia? 

Parlare un linguaggio comune senza scimmiottare: ad esempio, il giornale non deve inserire emojis nell’articolo, ma trovare i punti forti ed i formati che possono piacere a questo audience. I giovani sono ragazze e ragazzi con nazionalità e background diversi, pertanto il giornale deve fornire le basi anche a chi non le ha per leggere, ad esempio, un articolo scientifico.

Il giornalismo deve essere inteso come sfera di servizio che fa da complementare al servizio educativo, come ad esempio lo Stato con la scuola.

Per quanto riguarda l’avvento del digitale e la crisi dei giornali, ci sono state delle differenze tra l’Italia e l’estero?

La digitalizzazione ed il mondo del network hanno reso la notizia notifica e Tweet, e ciò ha complicato il sistema, l’ecosistema dell’editoria ed il mercato dei giornali.

Il giornale è frutto di un’impresa che si svolge su due livelli: sociale – in quanto prodotto culturale – ed economico – essendo un prodotto vero e proprio per gli interessi economico-finanziari coinvolti.

Con la digitalizzazione si sono inseriti altri attori nella relazione dapprima lineare giornale-massa. Oggi il giornale è un altro punto di informazione che parla a diversi punti di informazione, perché il lettore diventa egli stesso punto di informazione. Dunque la crisi che hanno visto i giornali è molto diversa rispetto a quella che può essere subita da un prodotto fisico.

Per quanto riguarda la differenza tra l’Italia e l’estero, l’Italia ha sempre visto la digitalizzazione come un’opportunità per raggiungere più persone e raggiungere volumi, numeri.  Ma la dinamica dei volumi è diversa da quella di valore.

Pensare, invece, all’audience con alcune logiche di valore e marketing vuol dire fidelizzare un audience che paga perché l’informazione proposta è di qualità. In Italia, però, ci sono ancora troppo poche dinamiche di tal tipo.

Perché, ad esempio, Washington Post, New York Times, Financial Times sono diversi rispetto alle testate italiane? La fidelizzazione è nella dinamica di quei giornali.

Mantenere l’informazione gratuita perché è su internet, affidandosi solo agli introiti pubblicitari senza una fidelizzazione è un modello che non funziona in quanto il sistema pubblicitario non si basa sulle dinamiche interne del giornale. In passato nessuno avrebbe mai dato la carta gratis. Anche la Spagna non è diversa dall’Italia.

Invece il business model che chiede al giovane di comprare il giornale va proprio ad innescare delle basi solide per il giornale stesso.


Quest’anno uscirà il mio primo libro “Intrapreneurship and Innovation in the Media World” dove illustrerò tali dinamiche, pur non essendo affatto semplice perché si intersecano con movimenti politici, economici e finanziari.

Parliamo ora delle diverse tipologie di informazione, dato che molte persone si informano prima sui social network e poi su  siti, blog e giornali.

Tra le varie tipologie, il meccanismo dei social e soprattutto di Facebook è quello di un ecosistema chiuso, della bubble, e di far sì che il lettore-user rimanga lì il più tempo possibile. Il social media propone solo quelle notizie che ti interessano e non ti proporrà mai articoli sul riscaldamento globale se non c’è un hashtag che ricollega il tuo account a quell’argomento.

Invece la lettura di una fonte giornalistica è molte volte la sorpresa di qualcosa di cui non sapevi. Il senso di scoperta nasce dal giornale, in quello scorrere tra le pagine c’è sempre qualcosa di nuovo. Ed acquistando alcune testate, io so che c’è una qualità di un certo livello. I giornali devono pertanto raggiungere i lettori con qualcosa di accattivante, i lettori devono percepire in maniera interessante quel contenuto. Ecco la funzione del brand di quella testata che mi darà uno standard di qualità nella visione del mondo.

Per me è giustissimo mettere il contenuto su Instagram, ma ci deve essere una fidelizzazione strategica del lettore.

Cos’è FT Talent Challenge?

FT Talent Challenge nasce nel 2018 ed è un hackathon dove invitiamo i ragazzi under 30 ed under 35, dopo aver superato l’application process, a venire a Londra per confrontarsi e far nascere dei dialoghi e dibattiti su varie tematiche, non solo sul futuro del giornalismo.

E’ bello avere dei luoghi di confronto, far capire che FT può essere un luogo di incontro e sfida.

Abbiamo chiesto: “come vedete voi il futuro dell’informazione?

I partecipanti diventano punto di riferimento in cui puoi fare delle domande e vengono proposte soluzioni. Alcune di esse vengono realizzate. Avviene anche del networking tra FT e partners. Alcuni giovani che hanno partecipato hanno trovato lavoro sia presso FT che presso i nostri partners.

Dato il periodo storico, ci saranno alcuni eventi virtuali, e speriamo presto a New York, Singapore ed in giro per il mondo.

Cosa consigli ai ragazzi e alle ragazze che vogliono lavorare nel mondo editoriale?

Entrare nelle grandi aziende significa aver voglia di sfidare anche quelli che molto spesso sono preconcetti e pregiudizi.

Occorre essere innovativi, avere idee sveglie e buone ma non criticare quello che c’è.

Dare delle idee fresche e nuove ma basandosi sul proprio ambiente di lavoro, avere una lettura approfondita di quella azienda, capirne bene i meccanismi. Leggere bene l’ecosistema in cui si entra ed il mercato è fondamentale.

E per chi volesse arrivare ad una posizione di leadership in azienda?

Occorre essere molto bravi a capire gli interessi dei dipartimenti in cui ci si interfaccia, essere aperti al dialogo, essere diplomaticamente svegli. Può essere utile qualche lettura di filosofia e politica e il confronto con altri modelli, anche in altre industrie.

Sarebbe stato possibile diventare manager così giovane anche in Italia?

Non credo. In Italia c’è un pregiudizio nei confronti dell’età, è più una questione di struttura sociale.

Dal punto di vista lavorativo è innegabile che ci siano più opportunità all’estero.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sto portando avanti un’idea imprenditoriale chiamata Good Saints, un ecommerce di palo santo, in parallelo con il mio lavoro nel campo dell’informazione. Mi piace capire il mondo commerce ma anche quello della sostenibilità e creare un network interessante dando legittimità ad alcuni prodotti come ad esempio caffè, cacao e quinoa. Mi entusiasma creare progetti molto creativi.

Per questioni lavorative, comunque, non credo di rientrare in Italia, date attualmente le possibilità che sto avendo all’estero.

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