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La Scozia non cambia

Di Antonella di Lucia

Il 18 settembre si è tenuto in Scozia il Referendum sull’indipendenza del Paese dal Regno Unito. Il Referendum, che necessitava della sola maggioranza semplice per approvare la proposta di secessione, ha visto, invece, la vittoria degli unionisti con il 55,3% dei voti. Ma l’ipotesi secessionista sembrava molto reale fino a poche ore prima del voto. Yes Scotland, il principale gruppo a sostegno dell’indipendenza, godeva infatti della popolarità del suo leader, Alex Salmond, primo ministro della Scozia e a capo dello Scottish National Party, e il Sì sembrava favorito nei sondaggi. Evidentemente, la campaign che sosteneva il No, Better Together (ah, il pragmatismo degli inglesi!), ha colpito nel segno con una campagna elettorale che dipingeva scenari apocalittici post-indipendenza.

Quali sono le ragioni dell’indipendenza? Il popolo scozzese è un popolo molto fiero, conserva con orgoglio un’antica storia culturale, fatta di tradizioni, battaglie, lingua, gastronomia, cornamuse, tartan e kilt, che ancora oggi rivive grazie all’indomito carattere dei suoi abitanti, giovani ed anziani (avete presente il film Braveheart?). Che gli scozzesi abbiano un forte temperamento dovevano averlo capito già gli antichi romani. Infatti, durante l’espansionismo romano, gli scozzesi riuscirono a respingere le legioni che avevano occupato il resto dell’isola britannica e addirittura compirono incursioni nei territori occupati dall’esercito romano, tanto da costringere l’imperatore Adriano ad erigere una fortificazione in pietra, il Vallo di Adriano, a difesa della Britannia romana.

La Scozia è entrata nel Regno Unito nel 1707, e da allora la sua storia si è unita a quella dell’Inghilterra, ma il suo popolo non ha mai perso di vista la propria identità. Il sistema legale della Scozia è rimasto separato da quello di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e con il processo di devolution del 1997, il potere di fare leggi su certe materie di interesse locale e di applicarle è stato delegato al Parlamento e al Governo scozzese, con sede a Edimburgo. Il Parlamento del Regno Unito mantiene la competenza sulla difesa, le materie fiscali e di sicurezza sociale ed altre, elencate in via tassativa nello Scotland Act come “materie riservate”. Per quanto riguarda la lingua, in Scozia si parla ovunque inglese, che è la lingua ufficiale, ma con accento ed espressioni idiomatiche regionali. L’inglese scozzese varia da un lieve accento nel modo di pronunciare parole ed espressioni, al pesante dialetto della città di Glasgow. Inoltre, nelle Highlands, le alture della Scozia settentrionale, la lingua principale era il gaelico e, quando nel XX secolo l’inglese fu imposto come lingua ufficiale, l’intera cultura gaelica rischiava l’estinzione. Tuttavia, oggi, il rinnovato interesse per l’identità autonoma scozzese, ha riportato in auge il gaelico, che è materia di insegnamento nelle scuole e nelle università.

L’esistenza di istituzioni legali, educative e religiose distinte da quelle del resto del Regno Unito, unita ad alcuni temi di interesse economico, come la presenza di abbondanti giacimenti petroliferi in Scozia, la volontà di liberare la Scozia dalla flotta nucleare britannica per un Paese “nuclear free” e di creare una nazione piccola e ricca con un forte sistema di welfare sul modello scandinavo, sono le ragioni principali della spinta indipendentista.

Allora perché ha vinto il No? Perché gli interrogativi irrisolti erano troppi. Prima tra tutte, la questione della moneta: Edimburgo avrebbe voluto tenere la sterlina, ma la Bank of England sembrava non volerne sapere; poi l’ingresso nell’Unione Europea, ostacolato dal probabile veto della Spagna, timorosa di un effetto separatista a catena che avrebbe potuto danneggiarla; infine, la divisione del debito pubblico e la questione dell’effettiva sfruttabilità delle risorse petrolifere. Una situazione di incertezza, quella post-indipendanza, che avrebbe potuto creare un forte effetto recessivo.

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