Mancava in effetti solo lui. Ad appena due giorni di distanza dalla rissa da bar spacciata per confronto presidenziale, in cui il mondo intero ha assistito allo sconfortante spettacolo di due settantenni che si contendono la poltrona più importante del globo a suon di interruzioni reciproche e insulti, il Commander in Chief Donald Trump annuncia tramite l’istituzionalissimo Twitter il fatto di aver scoperto che sia lui sua la first lady Melania sono positivi al Covid-19.
A rendere ancora più tragicomica la sequenza è la scena in cui durante il dibattito il Presidente accusa lo sfidante di «indossare troppo spesso la mascherina», cercando di farlo passare per un pollo fifone.
Trump però è solo l’ultimo di una lunga lista di uomini politici che, annebbiati da deliranti farneticazioni populiste, fondano la propria leadership sulla propria figura mitizzata di super-uomo, fino ad ignorare anche i più basilari principi scientifici pur di interpretare al meglio il sentiment del loro elettorato.
Il primo a dire il vero fu Zingaretti, che di populista non ha proprio niente, ma ebbe la splendida idea agli albori della pandemia di organizzare un ape sui navigli milanesi per esorcizzare lo spauracchio di una paralisi della città. Risultato: positività al Covid e palma d’oro di primo iscritto alla lista.
Lo ha seguito a ruota Boris Johnson, che certo non ha potuto trincerarsi dietro qualsivoglia ignavia circa la pericolosità effettiva del virus, arrivando a prospettare la geniale soluzione di «attendere pazientemente l’immunità di gregge abituandosi alla possibilità di perdere i propri cari». I tre giorni di terapia intensiva cui è stato sottoposto per effetto della malattia devono evidentemente avergli fatto cambiare idea, dato che molte aree della City sono già impegnate nel secondo lockdown.
Irriducibile invece il Presidente brasiliano Bolsonaro, che impostò la sua politica di contrasto all’emergenza sanitaria sul confortante principio del «tutti dobbiamo morire, prima o poi». I bagni di folla smascherati hanno portato inevitabilmente in dote la positività al virus e a 20 giorni di isolamento. Si è trattata però solo di una pausa, dato che non appena ha avuto modo di uscire ha decantato gli sfavillanti effetti curativi della idrossoclorochina (screditata dalla comunità scientifica) e ha proseguito con i festosi assembramenti.
La palma d’oro alla creatività non può però che essere assegnata al Presidente della Bielorussia Lukashenko, che di problemi ne ha davvero tanti – dai tumulti interni per le non proprio limpidissime elezioni di agosto alle conseguenti sanzioni UE – e ha deciso da buon negazionista di non farsi mancare nemmeno una positività personale al Covid. Dopo aver suggerito alla popolazione di sconfiggere il virus con la sapiente combinazione di vodka, sauna e duro lavoro, rivela al mondo di essere guarito semplicemente «stando in piedi».
L’elenco in verità sarebbe lungo e comprenderebbe i Presidenti di Bolivia, Honduras, Guatemala e Armenia, oltre ad una marea di personaggi pubblici a vario titolo, come Briatore e Berlusconi. Ma vi risparmio questo eccessivo esercizio di prolissità. Quanto emerge, tuttavia, è un quadro abbastanza esaustivo da poter essere sintetizzato. Viviamo in un’era in cui la conoscenza è resa facilmente fruibile a tutti attraverso lo scroll di un dito sul proprio smartphone. Una condizione impensabile fino solo a pochi anni fa e idilliaca, almeno in teoria. Perché all’atto pratico la sconfinata mole di informazioni disponibile rende l’acquisizione delle informazioni tendente ad assomigliare al tentativo di abbeverarsi ad un idrante appena esploso in tutta la sua potenza.
Il Covid è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di disinformazione che trova nel web il suo ambiente ideale, dato che le stesse piattaforme attraverso cui ci informiamo tendono a riproporre contenuti simili nella speranza ci piacciano e che possiamo trascorrere quanto più tempo possibile su di esse per propinarci banner pubblicitari.
Non solo: proprio l’illimitato contenuto a cui poter accedere da un browser rende praticamente sempre possibile trovare un articolo che confermi un pensiero che già abbiamo in testa, costringendo chi è sprovvisto del giusto senso critico a vivere in una inscalfibile fortezza edificata sulle proprie convinzioni. Perché in fin dei conti «l’ha letto sul web», e tanto basta per essere vero.
E così la storia cresce. Al Covid si affiancano le teorie complottistiche sul 5G, sui vaccini, su QAnon e il deep state (per ora vanno forte negli USA, ma aspettate qualche mese…) e sul quel poveretto (si fa per dire!) di Bill Gates. Tutte teorie pronte ad intrecciarsi in una fitta rete di disinformazione in grado di creare un’autentica realtà alternativa. Un esercito di cittadini ed elettori sempre più numeroso, che è riuscito ad organizzarsi in movimenti, partiti politici ed esprimere rappresentanti politici. Fino a culminare con la poltrona di maggior potere e responsabilità del mondo occidentale.
Sarebbe imperdonabile circoscrivere il fenomeno ad un singolo paese o ad un singolo partito. Manifestazioni contro le misure adottate per limitare la diffusione del Coronavirus si sono tenute in quasi tutti i Paesi del mondo. I No-Mask hanno sfilato il più delle volte senza bandiere o slogan politici, ma accomunati da una medesima cultura fondata su convinzioni strettamente antiscientifiche e negazioniste.
Oggi questo movimento globale, nella massima espressione dei propri esponenti politici, paga lo scotto delle sue scellerate convinzioni. I leader populisti hanno inseguito le posizioni antiscientifiche del proprio elettorato, stigmatizzando a più riprese il virus come una banale influenza, parlando di psicosi immotivata e ridicolizzando gli atteggiamenti di prevenzione e cautela degli avversari politici.
La loro malattia rappresenta in definitiva un perfetto esempio di darwinismo mancato, non concretizzatosi solo grazie al provvidenziale intervento dei sistemi sanitari e della tanto bistrattata scienza, che – fortuna loro – non porta rancore.
Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni-Quotidiano del Sud 12/10/2020