Dal 1 maggio 2020 entrerà in vigore la nuova disciplina in tema di intercettazioni, contenuta nella legge n. 7 del 2020 che ha convertito, con modificazioni e non pochi contrasti, il d. l. n. 161 del 2019. Di seguito le principali novità.
Utilizzo dei risultati anche in altri procedimenti
A seguito della riforma, i risultati delle intercettazioni potranno essere utilizzati anche in procedimenti penali diversi da quelli per cui le intercettazioni sono state autorizzate. Ciò a condizione che tali risultati siano indispensabili e rilevanti per l’accertamento di reati per cui è previsto l’arresto in flagranza o per reati di particolare gravità indicati in modo tassativo dall’art. 266 c.p.p. (ad esempio, delitti riguardanti sostanze stupefacenti, armi, pedopornografia, associazione di tipo mafioso, atti persecutori, ecc).
Divieto di pubblicazione
La nuova riforma interviene anche sulla normativa dettata dall’art. 114 c.p.p., inerente al divieto di pubblicazione di atti ed immagini inerenti ai procedimenti penali coperti da segreto o anche sul loro contenuto.
Si estende, difatti, il divieto di pubblicazione, anche in parte, di tutte le intercettazioni non acquisite nel procedimento ai sensi degli articoli 268 (esecuzione delle operazioni), 415 bis (avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari) e 454 (presentazione della richiesta del Pubblico Ministero) del codice di procedura penale.
Incremento del potere discrezionale del Pubblico Ministero
Vengono incrementati notevolmente i poteri del Pubblico Ministero in materia.
Mentre in passato la selezione del materiale eventualmente “irrilevante” era affidata alla polizia giudiziaria, con la riforma è ora il PM ad essere incaricato di valutare quali intercettazioni siano valevoli di essere qualificate come “rilevanti” ai fini delle indagini.
In questo modo il Pubblico Ministero vede rafforzato il proprio dovere di vigilanza sul contenuto delle intercettazioni, potendo escludere espressioni che possano ledere la riservatezza di dati personali e la reputazione di singole persone, salvo che si tratti di informazioni considerate “rilevanti ai fini delle indagini”.
Ampliamento dell’utilizzo del captatore informatico
Preliminarmente occorre chiarire: cosa si intende per captatore informatico?
Il captatore informatico (Trojan) è un software “malevolo”, un virus che, inserito nel pc o nel dispositivo mobile all’insaputa dell’utente, può captare conversazioni, immagini, messaggi, spostamenti.
Rappresenta una forma “moderna” di intercettazione che può essere disposta per reati particolarmente gravi come l’associazione di tipo mafioso, l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al traffico di rifiuti tossici, allo sfruttamento della prostituzione o al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il requisito dell’indispensabilità dei risultati delle intercettazioni è necessario anche per le intercettazioni poste in essere attraverso un Trojan.
Con la riforma sarà consentito l’utilizzo del Trojan non solo per i reati contro la Pubblica Amministrazione commessi da pubblici ufficiali, ma anche per quelli commessi dagli incaricati di pubblico servizio, sempre che si tratti di reati punibili con la pena della reclusione oltre i cinque anni (ad esempio corruzione, concussione, abuso d’ufficio ecc). Le intercettazioni attraverso il Trojan potranno avvenire anche nei luoghi di privata dimora, previa indicazione delle ragioni che ne giustifichino l’utilizzo