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La moda eco conscious che ammalia i giovani: spendere meglio e lanciare messaggi sociali a partire dai capi indossati

Il mantra dello shopping: spendere meglio, comprare meno. Le nuove generazioni – ben 3 giovani su 5 – sono più attente ad acquisti ecologici e mirati. Obiettivo: selezionare prodotti di qualità che possano venire incontro ad esigenze ambientali, che siano in linea con economie produttive che strizzano l’occhio al rispetto dei lavoratori ed alla salvaguardia dell’ambiente.

Ad oggi, nel campo della moda, l’essere fashion non è soltanto mostrarsi con indosso l’abito o l’accessorio di tendenza, ma assume il valore aggiunto di esibire un messaggio sociale. È ancora difficile pensare ad una moda sostenibile che tagli in modo netto l’usa e getta, obliando superficialità e impersonalità. Limitando gli acquisti superflui, si riuscirebbe a contribuire, in modalità singola ed autonoma, alle problematiche dell’inquinamento da processi industriali, consumo delle risorse idriche, sfruttamento dei lavoratori e fallimento delle piccole imprese tessili artigianali ed etiche.

Se è vero che la storia si ripete nel tempo, lo stesso si può dire con certezza per le tendenze di moda. Per cui, spendere meglio e comprare meno è un interessante compromesso per i giovani – e non solo – che amano vestirsi bene e con coscienza. Si direbbe che ogni mese anzi, ogni cambio stagione, nuovi brand si propongono sul mercato della moda come “eco-conscious” – attenti alla salvaguardia della natura e dell’ambiente – e rispettosi delle condizioni lavorative dei dipendenti. Paradossalmente, si tratta spesso di marchi che sono prorompenti nelle realtà di lusso. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che tale moda è piuttosto costosa, soprattutto per i produttori.

Uno dei ruoli più importanti nel cercare di migliorare le performance produttive, rendendole sostenibili, ambientali e sociali, è affidato ai piccoli designer, veri player del settore. Sono loro che riscontrano le maggiori difficoltà, sebbene le stesse rendono unici i loro capi. Si parla ad esempio del problema dei minimi di acquisto, cioè i pochi metraggi di tessuto che i piccoli brand comprano dai fornitori. Una richiesta necessaria ai designer, per rendere le loro produzioni economicamente convenienti, ovvero essere sicuri di vendere tutto ciò che si è prodotto. La piccola scala e quindi la filosofia di produrre solo quello che è necessario, nasce dalla sfida a combattere la sovrapproduzione. Questa scelta, non solo fa bene all’ambiente, ma contribuisce al valore dato alla moda sostenibile. Inoltre, se si tratta di acquisto di metraggi di tessuti sostenibili come, ad esempio, materie riciclate e\o riutilizzate, le problematiche si complicano perché la richiesta è inferiore. A differenza dei materiali vergine, le fibre tessili rigenerate non possono essere prese e subito trasformate in un nuovo tessuto. I materiali di riciclo necessitano di una serie di passaggi di rigenerazione che hanno costi e tempi maggiori. Un circolo vizioso che ha come conseguenza diretta le limitazioni degli acquisti da parte dei consumatori: i prodotti presenti sul mercato sono più cari.

Nonostante ciò, per alcuni acquirenti di moda eco-friendly, la sensibilità è una necessità, taluna volta un obbligo. Sfoggiare un accessorio sostenibile è un lasciapassare, spesso una vera attestazione sociale di merito. Per molti altri, il rispetto per l’ambiente e per l’uomo è un autentico stile di vita. Questi prodotti artigianali, etici, ecologici hanno, a detta di quei consumatori che hanno scelto di investine nell’eco-conscious, il vantaggio di avere una maggiore qualità e migliore durata nel tempo. Rispetto alla moda “fast fashion” – abiti ed accessori immessi in tempi brevi sul mercato – il tessuto, l’abbigliamento eco sostenibile si presenta come un evergreen della moda. I produttori di materiali sostenibili, ad esempio, certificano ai compratori il tempo e le risorse spese per ottenere risultati di qualità attraverso le sigle GRS, OEKO TEX, GOTS, attestazioni che richiedono attenti controlli periodici.

Solo per citarne alcuni: Endelea è un brand di abbigliamento etico che produce e disegna connettendo l’Italia e la Tanzania con l’obiettivo di investire nella produzione carbon neutral e zero waste, nonché creare valore tra le comunità africane coinvolte; Lucy and Yak, marchio inglese che usa cotone organico e fibre riciclate, inoltre propone un programma upcycle di reso dei capi vecchi a fronte di un voucher di circa 23€; Pairi Daeza, letteralmente giardino recintato in persiano antico, è un brand fondato in Italia da due sorelle iraniane che realizzano prodotti artigianali con antiche tecniche persiane e collaborano con piccole comunità emarginate che vivono in Iran; Afrika project, è un brand spagnolo che ripropone la cultura millenaria di tessitura a mano con materiali da allevamenti sostenibili e modelli genderless.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

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