Il 12 marzo 1930 Gandhi, in risposta alla tassa inglese sul sale che colpiva la povertà dell’India che non poteva vendere il prodotto sul mercato, organizzò la “marcia del sale”. Una protesta silenziosa, non violenta. Dal 12 marzo al 5 aprile 1930, per 24 giorni, il Mahatma percorse a piedi una distanza di 200 miglia, più o meno 300 km, da Ahmedabad a Dandi, sulla costa di Gujarat, e portò la protesta pacifica nelle saline, presidiate dalla polizia inglese. Gandhi non fu solo: ad accompagnarlo c’erano altre 78 persone ma, in men che non si dica, il seguito aumentò a dismisura, arrivando a contare migliaia di persone. Tanto che, quando all’esercito venne chiesto di sparare sulla folla, gli ufficiali si rifiutarono. La marcia si concluse con l’arresto di più di 60mila persone, tra cui lo stesso Gandhi, condannato a 6 anni. Il sistema delle carceri, vista l’ingente quantità di arresti, si trovò in difficoltà per insufficienza di posti ma l’opinione pubblica, in seguito, si schierò a favore della “Grande Anima”. L’episodio fece molto scalpore in tutto l’Impero indiano arrivando persino ai giornali britannici che ne diedero notizia.
Novant’anni dopo, ci troviamo a dover fronteggiare un qualcosa di inaspettato, forse più grande di noi. Anche noi in silenzio, non violenti gli uni con gli altri e un po’ impauriti. L’unica differenza sta in una vocale: Gandhi fece la marcia del sale, noi la marcia del sole. Per poterlo rivedere, per sentirlo di nuovo addosso senza portare mascherine e guanti in lattice. Senza aver paura di stringere la mano ad un amico, ad un amore. Una vocale spesso stravolge il senso di ogni cosa. Stiamo combattendo tutti insieme, uniti da Nord a Sud, tenendoci stretti da lontano. Per combattere per le cose bisogna andare incontro all’altro, fare squadra, non essere egoisti. Anche perché tutti abbiamo lo stesso diritto alla vita. A volte si fa squadra proprio se si pensa al prossimo, stando lontani per proteggerlo da eventuali ripercussioni negative come un contagio. Una marcia concreta, l’altra metaforica ma entrambe con uno scopo: aiutarsi, aiutare. Sconfiggere il “nemico” che può essere una tassa, un governo, un’economia, oppure può essere un virus. Una marcia che usa l’aggregazione in carne ed ossa, un’altra che la usa in modo spirituale. Una marcia che termina con il sistema delle carceri in grossa difficoltà visto i posti insufficienti proprio come può accadere adesso in Italia nelle strutture ospedaliere.
Il parallelismo degli eventi storici spesso fa paura. La casualità, il caos, il caso. Novant’anni dopo si richiede sempre la collaborazione ma ognuno al proprio posto, che altro non è che una sorta di aggregazione tacita. Si parla di essere vicini ma distanti. Certo, non percorriamo 300 km in 24 giorni, però possiamo percorrerne il doppio, ma che dico il doppio, il triplo se non il quadruplo, nei giorni che verranno.
Perché i giorni verranno.
Non ci saranno arresti, non ci sarà una pena da scontare.
Ma ci saranno solo braccia aperte e lacrime di felicità per poter essere ancora una volta vicini.
Lottiamo per il nostro sole, così come fece Gandhi per il suo sale.
Che poi, chi siamo noi se non il sale della terra?
Restiamo uniti ma distanti.