La guerra fino a casa nostra

Da quando i carri armati russi hanno invaso l’Ucraina e hanno iniziato la loro avanzata verso Kiev, la guerra è entrata nelle nostre case. Attraverso i notiziari, le trasmissioni di approfondimento e le analisi più o meno appropriate, il conflitto monopolizza le nostre menti e i nostri cuori.
Le notizie provenienti dal fronte hanno riempito l’informazione del nostro Paese con un racconto quasi minuto per minuto del conflitto in corso, rendendoci partecipi delle azioni belliche e, soprattutto, delle azioni di resistenza ucraine.
Questo conflitto che fa tremare l’Europa fa vacillare le sue certezze e sta chiamando tutti noi a scegliere da che parte stare, a scegliere quale sia la parte giusta della storia.

La politica estera è diventata politica interna

Questo conflitto ha visto anche un impegno dei media senza precedenti, con un cambio importante per tutto il mondo dell’informazione in Italia. Il nostro Paese ha sempre sofferto di una informazione troppo concentrata sulle questioni interne, spesso anche sulle beghe politiche, emarginando ciò che succedeva oltre i nostri confini. Erano rari, infatti, i programmi radio-televisivi che si occupavano di questioni internazionali, viste come di élite e che potevano interessare solo gli addetti ai lavori o pochi appassionati fuori dal coro. Ora, invece, la politica estera è diventata politica interna o anzi quotidiana a cui non ci si può sottrarre. Tutto questo è  inevitabile vista la vicinanza del conflitto ai confini dell’Unione Europea e le minacce che questo pone a l’Europa, soprattutto se il conflitto si dovesse malauguratamente espandere a Paesi membri della Nato.

Una guerra vicina e reale

La situazione in Ucraina ci fa sentire la guerra tremendamente vicina e reale, come mai era successo fino ad ora, quando i conflitti erano visti come cose terribili, ma lontane, che nel complesso non ci riguardavano.
Penso al decennale conflitto israelo-palestinese che infiamma il Medio-Oriente, coinvolgendo, tra l’altro, le tre grandi religioni monoteiste e ponendo domande etiche e morali enormi che non hanno ancora trovato risposta. Penso al conflitto in Siria che, come quello in Ucraina e gli altri dell’epoca moderna, ha coinvolto i civili, donne e bambini che sono dovuti fuggire dalle loro case, quando non colpiti direttamente dalle bombe.
Lo stesso discorso può valere, almeno in parte, per conflitti che hanno coinvolto anche più direttamente l’Occidente, come la guerra in Afghanistan o la guerra in Iraq: anche qui, luoghi lontani dove eravamo chiamati a portare pace e democrazia, anche attraverso le armi. In questi due casi i giovani manifestarono per chiedere la pace e la fine delle guerre “giuste”.
Potrei continuare elencando gli innumerevoli conflitti armati, come quello in Yemen o quelli dell’Africa, di cui spesso non conosciamo neanche i contorni.

I social network si sono schierati

La situazione russo-ucraina ha rappresentato un cambio di passo dal punto vi vista mediatico, con una copertura molto ampia anche da parte di canali mainstream. Non dimentichiamo poi il ruolo dei social network che, come era prevedibile, stanno facendo rimbalzare le notizie anche in pochi minuti. Teniamo presente che i social vengono utilizzati anche dagli stessi soldati russi o ucraini per filmare le azioni di attacco o difesa da mostrare al mondo, con un inevitabile elemento di propaganda. E ricordiamo che, proprio in questi giorni, da parte occidentale, è stato permesso di incitare sui social il battaglione ucraino Azov, battaglione che si rifà apertamente a idee neonaziste.
I social network occidentali, quindi, hanno deciso da che parte stare, hanno capito che era necessario prendere una posizione precisa, perché la posta in gioco, questa volta, è troppo alta.

La manipolazione dei media

Da parte russa la manipolazione dei mezzi d’informazione è pressocché totale, se pensiamo alla legge che impedisce di diffondere notizie reali sulla guerra, che non si può neanche chiamare così. La stretta sull’informazione ha portato i principali network internazionali a lasciare il Paese: questa scelta, fatta per proteggere la libertà dei giornalisti che rischiano anche 15 anni di carcere, provoca però il rischio di un racconto della guerra carente. Questa decisione di lasciare la Russia, tra l’altro, è speculare a un impegno senza precedenti nell’invio di giornalisti in Ucraina, dove i reporter rischiano la loro stessa vita.

Questa è una guerra che quindi si combatte su più livelli, prima di tutto sul terreno, ma anche sul fronte mediatico, culturale e valoriale.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni