Lo scorso 27 giugno l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ha pubblicato un articolo sull’uso di dispositivi digitali nel mondo del lavoro nei 27 Paesi dell’Unione: oggetto d’esame è il tempo speso durante l’orario di lavoro con un dispositivo (computer, tablet o smartphone) che sia strumentale o di supporto all’attività lavorativa.
L’analisi di questo particolare aspetto del lavoro fa emergere tre dati principali, diversi ma correlati tra di loro. Il primo che viene alla luce è che analizzando il totale degli occupati in Europa, nel 2022 circa il 30% del dei lavoratori ha utilizzato un dispositivo digitale interamente o per gran parte del proprio tempo impiegato a lavoro. Questa evidenza va a consolidare un trend già noto: l’industria dei servizi, almeno in Europa, è cardine principale di crescita, non solo economica ed occupazionale. Non solo, le politiche comunitarie sono orientate a favore di un mercato interno con sempre meno barriere, ambiente dunque favorevole ai servizi ed in particolare per il settore digitale.
Il secondo dato che emerge dall’articolo è la percentuale di genere in Europa che lavora a contatto per molto tempo con un dispositivo nel proprio lavoro: il totale delle donne che lavora a contatto con la tecnologia è più alto degli uomini in tutte le fasce d’età oggetto di studio. Dato che fa riflettere se si considera che all’aumentare del titolo di studi cresce anche la probabilità dell’uso di un pc sul lavoro. Se questo si incrocia con il pay gap (indicatore che misura la differenza di retribuzione tra uomo e donna) emerge un’evidente incoerenza perchè gli uomini sono mediamente più retribuiti delle donne.
Il terzo dato relativo alla classifica delle Nazioni in questa speciale statistica sul lavoro è quello che ha creato più dibattito. L’Italia infatti si posiziona diciannovesima nel gruppo dei 27 Stati dell’Unione, mostrando uno svantaggio competitivo talvolta anche molto marcato nei confronti di altre grandi Nazioni europee nostre “competitor”. La visione presentata da Eurostat è aggregata a livello nazionale, rendendo quindi difficile capire il livello di digitalizzazione delle diverse regioni italiane; anche senza evidenze concrete è facile assumere che sia il nord ad essere da traino in questo settore, sia per popolosità sia per caratteristiche occupazionali del territorio.
Alla luce di queste tre punti chiave, sorgono diversi spunti di riflessione. Primo su tutti è quello di chiedersi come una Nazione dalla grande tradizione commerciale internazionale come l’Italia sia allo stesso tempo molto indietro su un tema così importante per la crescita economica, e non solo, del Paese. Perché non solo di economia si parla: un mondo del lavoro digitalizzato aiuterebbe lo sviluppo del territorio tout court tramite una maggiore facilità nel fare impresa, servizi pubblici più efficienti, ed un’offerta turistica che sappia davvero valorizzare il patrimonio nazionale. Molti processi sociali sono cambiati rapidamente negli ultimi decenni e la sensazione è che il tema sia stato raramente oggetto di dibattito e di autocritica da parte della classe dirigente.
Su questo, le circostanze non giocano a favore di una corretta pianificazione da parte pubblica: negli ultimi dieci anni, dall’aprile 2013 (governo Letta) ad oggi (governo Meloni), si sono succeduti 7 Presidenti del Consiglio di cui uno tecnico (governo Draghi). In un grande viavai di nomine, insediamenti, assemblee ed inaugurazioni, in meno di due anni è normale aspettarsi che un lavoro di visione pluriennale su un tema molto tecnico faccia fatica ad essere in priorità in agenda, non essendo questo percepito come un’urgenza di breve periodo. Percezione che alla luce di altri dati si rivela poi miope, perché tra il 2021 ed il 2022 di giovani italiani tra i 18 ed i 34 anni che hanno lasciato i confini nazionali per studio o lavoro sono 80.000 (Fonte: Migrantes-Rapporto Italiani nel Mondo. Elaborazione su dati AIRE). Creare delle condizioni per un ecosistema più digitale non sarà la mossa determinante nel trattenere questi ragazzi, ma potrebbe quantomeno aiutare ad invertire il trend di partenze a favore di soluzioni più di prossimità.
A nostra discolpa, ci sono dei vincoli meramente materiali a frenare l’uso del digitale: la popolazione ha l’età media tra le più alte al mondo, la rapidità di evoluzione del settore male si sposa con un sistema per sua natura conservativo.
Alla luce di queste considerazioni, l’auspicio è quello che si possa trovare il tempo per una discussione sul tema nella quale vengano coinvolti diversi soggetti, anche del privato come aziende e start-up, in attesa della prossima statistica dove trovare conferma del lavoro fatto.
Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni