Kube: le facce dell’inclusività

Intervista a Ludovica Narciso, fondatrice di Kube Community.

La rappresentazione ultimamente è un concetto e una necessità non più negoziabile, soprattutto nei media. L’onda di attivismo da cui questa generazione di giovani è stata travolta non è passeggera, ma un grido e una richiesta impossibile da ignorare, una voce che non vuole solo appoggio e validazione esterna ma essere parte del meccanismo decisionale.

Dopo anni di proteste contro la scarsa presenza di donne e minoranze nelle “stanze” in cui viene deciso della nostra realtà, la generazione che di fatto sta influenzando e viene presa a riferimento principale per il mercato e le tendenze sta sfruttando il suo potere per favorire chi è meno privilegiato.

Nel concreto, quando nelle stanze non vengono fatti entrare, creano le proprie, spazi sicuri in cui possono esprimersi e avere il riconoscimento che meritano. I progetti come quello di Ludovica Narciso vogliono essere proprio questo.

Kube è una community online nata per dare rappresentazione e validazione, come anche supporto e sostegno, alle donne e alle minoranze, soprattutto quando essi non vengano adeguatamente considerati nella società. Abbiamo incontrato Ludovica per farci raccontare la sua esperienza e la sua iniziativa, che ad oggi è attiva in Europa e in America e punta a espandersi sempre di più.

Parlaci un po’ di Kube. Com’è nata l’idea e ad oggi il team da quante persone è composto?

Quando ho fondato Kube volevo cambiare il modo in cui i media e la pubblicità rappresentavano e dipingevano le donne. Volevo mettere in mostra le donne in tutta la loro complessità e vulnerabilità. Ho subito pensato a un cubo di rubik con le sue mille facce che secondo me rappresentavano a pieno le mille sfaccettature delle donne: da qui il nome Kube da Cube.

L’idea è nata dal nulla, volevo creare qualcosa di mio che potesse creare un vero e proprio cambiamento nella società di oggi e che rappresentasse un punto di riferimento per tutte le giovani donne millenial dove si sarebbero sempre sentite ascoltate e che avessero potuto usare la propria voce senza limiti. Essendo una ragazza di 25 anni, voglio anche realizzare un safe place che faccia continuare a sognare le ragazze e i ragazzi e dire: “È possibile sognare anche qui in Italia.”

Ad oggi siamo quasi una ventina di ragazze sparse tra Europa e America che supportano questo progetto e che sono felici di prendere parte a qualcosa che potrebbe diventare un’azienda, sperando che possa dare lavoro ai giovani creativi, abbattere stereotipi e creare nuove narrative più inclusive e realistiche.

Si tratta quindi principalmente di una piattaforma indirizzata a valorizzare talenti giovani e femminili, qual è stato il vostro riscontro fino ad ora? Soprattutto per le “donne digitali”.

La nostra piattaforma vuole far sì che tutte le donne si sentano rappresentate, capite, ascoltate e che abbiano un posto dove esprimersi e usare la propria voce. In realtà abbiamo avuto molti feedback positivi, ragazze che ci hanno ringraziato per il lavoro che facciamo e perché portiamo alla luce anche piccole tematiche che purtroppo i media di oggi ignorano.

La nostra mission è quella di rompere gli schemi e iniziare, finalmente, a dar voce anche a tutte quelle minoranze poco rappresentate in Italia. Kube è un posto diverso da tutti i media tradizionali e obsoleti che qui in Italia purtroppo non realizzano niente di nuovo ma continuano a marciare su vecchi format che creano ancora di più stereotipi sulle donne e sui giovani.

Come create una community attivamente e quale social funziona meglio allo scopo?

Creare una community non è facile come tutti pensano. Bisogna avere alla base un vero interesse per le opinioni degli altri e far sì che tutti si possano esprimere e confrontare. Bisogna prendersi cura di ogni singola persona che ti supporta e creare delle conversazioni anche con chi non capisce il tuo progetto. Usiamo per lo più Instagram perché ad oggi è il social più interattivo e dove il nostro target principale si trova, ma in realtà siamo proiettate a sfruttare anche altri canali per far sì che il nostro messaggio arrivi anche più a fondo e che possa essere transmediale su ogni piattaforma.

Questa generazione – che può comprendere sia millenial che gen z – come la descriveresti? C’è davvero molta differenza tra millenial e zoomer?

La cosa che più mi piace della nostra generazione è che sta lottando contro questa società arretrata e che sta rivoluzionando tutti gli schemi. Non credo ci siano grandi differenze tra generazione Z e Millenial se vogliamo soffermarci su tutte le battaglie riguardo il clima, le discriminazioni di genere e la comunità LGBTQIA+. Siamo tutti molto impegnati e credo che questo ci unisca di più piuttosto che creare differenze.

Nel futuro di Kube quali opportunità si prospettano e come vi impegnate per raggiungere gli obiettivi?

Non so ancora cosa ci prospetti il futuro, abbiamo in mente molti piani e progetti a cui stiamo lavorando e che spero si realizzino. Siamo tutte molto motivate e quando ci prefissiamo degli obiettivi lavoriamo sodo affinché si realizzino. Quello che vediamo nel nostro futuro è riuscire a trovare dei finanziatori che ci permettano di crescere e magari aprire il nostro primo piccolo ufficio, sarebbe una grande conquista che si realizza.

Articolo già pubblicato su Il Quotidiano del Sud – l’Altravoce dei Ventenni il 27 luglio 2020