Ottant’anni fa la nascita di una delle più grandi icone della cultura pop
Il fraseggio di un piano e una voce calda che sembra chiedere all’ascoltatore: «Mi puoi aiutare a immaginare un mondo diverso?».
Potere della musica e della penna di John Lennon, capace di tramandare come un modernissimo cantore non soltanto testi e composizioni immortali, ma anzitutto una serie di messaggi universali che testimoniano la forza dell’arte nelle sue manifestazioni più nobili.
Quella forza che Lennon sentiva repressa nella difficile e turbolenta convivenza con Paul McCartney, a cui non mancò di ricordare nella sarcastica How do you sleep – pubblicata nel 1971, quando i Beatles avevano già chiuso bottega da un anno – che l’unica cosa degna di nota della sua carriera era stata Yesterday. Una dichiarazione che poteva suonare pretenziosa e finanche arrogante, a maggior ragione perché Lennon si era appena messo alla ricerca di una nuova strada artistica e musicale.
Eppure, anche grazie al decisivo incontro con Yoko Ono – che pure i fan dei Fab Four hanno sempre considerato una sciagura, in quanto accelerò il processo di disgregazione del gruppo – Lennon riuscì brillantemente a svincolarsi dal suo ingombrante passato per costruirsi un’identità riconoscibile.
Con il trasferimento a New York, poi, si consuma la definitiva transizione dall’inclinazione visionaria dei Beatles psichedelici e lisergici di brani come Lucy In The Sky With Diamonds, Revolution #9 e Yellow Submarine alla consapevolezza e all’impegno che caratterizzeranno tutta la sua carriera da solista.
La cronaca dolente della vita operaia (Working Class Hero), una serrata requisitoria contro ogni guerra (I Don’t Want To Be A Soldier), la rivendicazione dell’ideale pacifista in una canzone (Give Peace A Chance) che parlava apertamente di masturbazione. Davvero troppo per le istituzioni americane, FBI e Casa Bianca in testa, che per anni cercheranno di ostacolare la carriera di Lennon e di rispedirlo in Gran Bretagna.
Dal canto suo, l’ex Beatle non fece molto per compiacere chi lo aveva messo nel mirino: continuò a denunciare, a prendere posizione, a graffiare.
Come accadde con l’album del 1972 Some Time in New York City, la cui copertina ricordava molto da vicino la prima pagina del più famoso quotidiano d’America, con la differenza che, al posto delle notizie, comparivano titoli e testi dei suoi brani, alcuni dei quali inequivocabili: Angela era un omaggio all’attivista per i diritti civili Angela Davis, anch’essa finita nel mirino della polizia federale; Attica State parla della rivolta nel carcere di Attica, consumatasi nel 1971; Sunday Bloody Sunday è la rievocazione di quella domenica di sangue e terrore che, undici anni dopo, darà fama planetaria agli U2.
Eppure, nell’immaginario collettivo si sono sedimentate anche le ballate di ispirazione intimista, su tutte Jealous Guy, una sorta di autoanalisi che consente a John di fare i conti con i suoi errori e le vampate di gelosia che hanno ferito Yoko, e Mother, un omaggio alla madre investita e uccisa da un’auto nel 1957.
La star Lennon – sensibile alla causa dei diritti civili delle minoranze – che si sovrappone e si confonde con l’uomo John, impulsivo e passionale. Due personalità contraddittorie che la musica riesce miracolosamente a tenere insieme per tutta la prima metà degli anni Settanta.
Dal loro incontro nascono inni universali che assumono la dimensione del manifesto programmatico e del messaggio politico: se Imagine, che ha recentemente scatenato alle nostre latitudini uno (stucchevole) dibattito sul suo reale messaggio politico e ideologico, non ha mai smesso di ispirare uomini e donne in tutto il mondo, brani come Happy Xmas (War Is Over) e Mind Games custodiscono un anelito di speranza che si specchia in uno dei versi più celebri del canzoniere di Lennon, «love is the answer».
In queste parole, si può intuire anche la svolta che John imprimerà alla sua carriera e alla sua vita privata nel cuore degli anni Settanta: finito il tempo dell’impegno politico diretto, Lennon consegna alle stampe un album (Rock’n’Roll, pubblicato nel 1975) che è un omaggio ai suoi miti musicali dell’infanzia, primo fra tutti Chuck Berry. Inoltre, l’ex Beatle chiude i conti con le sue avventure extraconiugali – Lennon aveva tradito Yoko Ono con la sua segretaria, May Pang – e festeggia la nascita del figlio Sean.
Cinque anni di silenzio discografico prima di tornare in studio per un disco, Double Fantasy, che la critica ha lungamente sottovalutato, forse perché troppo sbilanciato sul privato. Eppure, i ritmi accattivanti di (Just Like) Starting Over e le piacevoli melodie di Watching The Wheels e Woman suggerivano che Lennon potesse dire ancora molto. Neppure il tempo di pensarlo che, a due settimane di distanza dalla pubblicazione dell’album, Lennon si trovò faccia a faccia con il suo assassino, Mark Chapman, a pochi passi da casa sua.
A quarant’anni da quell’8 dicembre 1980, però, la voce di John Lennon continua a chiederci di immaginare. E di sognare con lui.