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Benvenuti ad Italian Kingdom: intervista a Stefano Broli

Qualche tempo fa ci siamo imbattuti in un interessante video nel web che ha catturato immediatamente la nostra attenzione.

 

L’impatto è stato notevole e direttamente proporzionale alla volontà di approfondire la nostra conoscenza riguardo italiankingdom.com. Con grande piacere, abbiamo scoperto al suo interno un progetto editoriale estremamente interessante.

Italian Kingdom infatti non è una semplice vetrina che si limita a raccontare stereotipi e luoghi comuni a tutti gli italiani che hanno deciso di lasciare il bel Paese per intraprendere una nuova vita a Londra. Il punto di forza di questo progetto è al contrario l’unicità delle storie, dei pensieri e delle sensazioni di coloro i quali si aprono a questa community e parlano della loro esperienza di cambiamento, nel più profondo.

Italian Kingdom quindi è innanzitutto un luogo in cui la community di italiani a Londra ha modo di raccontarsi apertamente, e farlo a proprio modo. Allo stesso tempo, si pone come punto di collegamento per professionisti, attività commerciali e personalità italiane che attraverso i loro racconti possono stabilire un punto di contatto con la community di appartenza.

Mossi dall’entusiasmo, ci siamo spinti oltre. Noi di Venti abbiamo voluto saperne di più, e per far questo abbiamo incontrato Stefano Broli, direttore responsabile e artistico di Italian Kingdom. Ecco com’è andata.

Avete presente il film di Terrence Malick “The tree of life”, quando la narrazione si interrompe e parte la sequenza onirica sulla genesi del cosmo (lacrimosa)? Ecco, più passa il tempo dal giorno in cui mi sono svegliato con l’idea di voler fare un progetto di racconto sugli italiani a Londra, più quel momento assume queste proporzioni. Non scherzo. E stiamo parlando di appena sei mesi fa. Italian Kingdom nasce dall’esigenza, forse umana, forse no, di voler portare sempre dietro di sé un pezzetto di casa. Non è un caso che io abbia pensato al progetto proprio nel momento in cui ho sentito di più il peso della distanza dall’Italia. Questi primi (quasi) due anni a Londra sono stati grandiosi dal punto di vista professionale, mi hanno permesso di crescere e potermi ritagliare uno spazio concreto nel mio settore a discapito però di tante abitudini che sono rimaste al check-in di imbarco quando sono arrivato qui. Senza contare che i contatti stessi con altri italiani qui a Londra fino alla fine dello scorso anno si sono sempre limitati a numeri a singola cifra. Io stesso forse ero vittima dello stereotipo che ha sempre descritto la community ai suoi stessi occhi, senza tenere conto delle migliaia di sfumature che la compongono.
Il brodo primordiale magari è un’immagine troppo astratta, però mi piace pensarla così, Italian Kingdom già cera, aveva solo bisogno di una scintilla per iniziare e prendere forma e adesso si sta espandendo giorno dopo giorno.

Diciamo che per indole sono portato al problem-solving. Voglio dire, se c’è un problema la cosa migliore che puoi fare è risolverlo o cambiare strategia. Mai restare fermo. È l’unico modo per far si che Italian Kingdom non si fermi mai e che sia sempre al sicuro da imboscate e vicoli ciechi. Esistono difficoltà personali e difficoltà progettuali. Le prime senz’altro sono quelle che ti portano a vivere giornate di 36 ore, pensare anche quando dormi, investire il tuo tempo, le tue relazioni, la tua vita in qualcosa che se trascurassi  anche solo per mezza giornata sarebbe un disastro. In questo c’è poco da fare, qualsiasi manuale per startuppers ti mette in guardia prima di iniziare.

A questo si aggiunge quella che probabilmente è stata la nostra più grande difficoltà, ovvero il rapporto con la community italiana qui a Londra. Come una splendida sintesi della stessa società italiana è ricca di individualità, costantemente frammentata e soprattutto guarda al nuovo con diffidenza. Esistono realtà qui a Londra che da decine di anni svolgono ed esercitano servizi per la community italiana come fossero istituzioni. Ecco, la difficoltà più grande è senzaltro stata, e in parte lo è tuttora, far capire che non siamo il solito progetto sugli italiani a Londra ma un ponte nuovo tra il nostro paese e litaliano. Ovunque egli sia.

Beh, su Facebook ormai andiamo per i 5000 e abbiamo tagliato il traguardo di 600 followers su Twitter proprio stamattina. Il progetto cresce ogni giorno, così come le collaborazioni che “attiviamo” e quelle che spontaneamente ci chiedono di diventare nostri partner. Ho spesso parlato di Italian Kingdom come una carovana, è il principio stesso del nostro progetto: se ci stiamo muovendo nella stessa direzione, perché non farlo insieme?

A sorreggere Italian Kingdom ci sono le basi dell’agenzia creativa che io ed il mio socio Antimo Farid Mire abbiamo fondato qui a Londra diversi mesi fa, Phocus Collective LTD. Il team che ha lavorato e lavora al progetto conta delle menti eccezionali che hanno permesso ad Italian Kingdom di avere delle basi solide su cui costruire. Dalla vice-direttrice e coordinatrice dei ritratti Gabriella Codastefano al nostro Editor-in-Chief Chiara Fratantonio, passando per Cristina Carducci, responsabile della comunicazione e al nostro advisor Jacopo Mele. Senza contare la nostra antropologa Martina Giacomini che supervisiona le storie e l’unica non italiana, la nostra project manager Adeline Breton. Quindi Carolina Are, Francesca Baronti, Marta Gianotti, Anna Tursi, Samanta Chittolina e Paola De Pascali che formano la nostra squadra (in crescita) di redattori. E la radio e la sua redazione fatta dalla Ele, Raffa e Il Red.

Chi a Londra, chi no ma che ci ha vissuto e le esperienze l’hanno portato altrove. La cosa importante è che ognuno di noi ha il permesso di essere se stesso e provare a raccontare la propria esperienza con gli occhi che l’hanno vissuta. Prendendo le distanze il più possibile dagli stereotipi. Lo stesso progetto editoriale è un ritratto degli italiani a Londra. In modo inverso dalle fotografie di ritratto, parte da noi, condividendo i nostri racconti.

Gli elementi in comune sono tanti quanto quelli di diversità ed è incredibile come storie che sulla carta, magari sul CV stesso siano differenti, scopri poi essere iniziate nello stesso identico modo. Forse una delle poche conclusioni che possiamo già cogliere è che tra le storie raccontate l’impatto con l’inglese è lo “spauracchio” per eccellenza per ogni italiano che si trasferisce qui. Chi magari senza una minima conoscenza, chi impressionato da come sui banchi di scuola le cose fossero molto differenti, al pensiero della prima difficoltà i problemi ruotano sempre attorno alla lingua. Poi la casa, il lavoro, il clima e via dicendo. Personalmente l’elemento che più mi ha colpito fino ad ora è che nella maggior parte delle storie, che non sono soggette a nessuna opera di selezione da parte nostra, nessuno si è ancora lamentato del cibo. Forse veramente stiamo vincendo sullo stereotipo.

Non posso essere troppo specifico ancora, ma tra poco raggiungeremo il centesimo ritratto pubblicato, magari sarà un bel momento per fare annunci e magari svelare qualche novità. Se avete seguito anche il lancio di Italianers, la prima webseries sugli italiani a Londra e che verrà prodotta da Italian Kingdom, beh, qualche idea per il futuro potrei averla già anticipata. Una cosa è certa, la struttura modulare di Italian Kingdom è pensata per crescere, arricchirsi e mettersi in gioco di continuo. Così è stato per la radio che ha accolto e sviluppato il progetto che la Ele, Raffa e Il Red portavano già avanti con Radio Pizza UK, scegliendo di diventare la nostra radio ufficiale e portando a bordo la loro professionalità e tanta freschezza.

Adesso mi rendo conto quanto siano difficili le domande che facciamo.
Se partite con un progetto, un’idea, a breve o a lunga scadenza, l’errore più grande che potreste fare è lasciare che Londra lo realizzi per voi. Non sarà mai così. Questa città è come una cassiera del Carrefour (o del Tesco se già siete qui), vi da indietro solo quello che portate alla cassa. E il conto può essere ben più salato di quanto si pensi. Non partite senza esservi informati, senza sapere a cosa state andando incontro, senza parlare la lingua del posto dove state andando. Molti vi diranno che la potrete imparare qui, lavorando magari. Questo purtroppo non vale per ogni settore e in generale il mercato del lavoro in questi ultimi anni è diventato ancora più selettivo su questo aspetto. Senza contare che a farne le spese sono sempre più i professionisti qualificati che vengono qui sventolando il CV come un’arma di assunzione di massa, purtroppo vittime di un insufficiente sistema di insegnamento linguistico in Italia.
In breve, quando farete la valigia, oltre ai salamini, le bottiglie d’olio, la pasta e i barattoli di pomodoro, ricordatevi anche di trovare spazio per i vostri obbiettivi, la conoscenza dell’inglese e tanta pazienza. Lombrello non vi servirà, qui non si usa.

 

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