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Italia 1, quarant’anni e tante rughe

quarant'anni di Italia 1

Photo by Moreno Matković on Unsplash

  Il compleanno (celebrato in silenzio) della rete giovane della tv italiana

Lo zapping condominiale filmato da Neri Parenti e Paolo Villaggio in una memorabile sequenza di Fantozzi contro tutti è l’immagine perfetta per descrivere la televisione dei primissimi anni Ottanta: l’etere liberato dal monopolio Rai come una terra vergine da colonizzare e occupare. Interferenze, segnali ballerini, voci e volti che si moltiplicano in un blob indistinto, il telecomando assurto a giudice supremo. Il contesto ideale per l’espansione della televisione commerciale, il contenitore perfetto per esportare un pezzo d’America in Italia: l’intuizione dell’editore televisivo Silvio Berlusconi, che intercettò la voglia di evasione del pubblico italiano, traghettandolo dal pedagogismo della tv pubblica alla modernità patinata di Canale 5.

L’American Way Of Life come manifesto ideologico di un’epoca allergica alle ideologie, la tv che ridisegna i connotati dell’immaginario collettivo. La strada era già segnata quando il fondatore del network Antenna Nord, Edilio Rusconi, decise di lanciare la sfida a  Canale 5 e Retequattro – controllata dal gruppo Mondadori – con un nuovo canale a diffusione nazionale: Italia 1, le cui trasmissioni iniziarono domenica 3 gennaio 1982. I primi passi furono tutt’altro che esaltanti: la rete faticò a trovare il suo pubblico di riferimento e, di conseguenza, un’identità precisa. Appena pochi mesi dopo il suo lancio, Rusconi lasciò a Berlusconi il controllo di Italia 1, che divenne ben presto complementare alla rete ammiraglia della Fininvest: i kolossal d’importazione, i campioni d’incasso e i varietà da una parte, l’intrattenimento leggero sotto forma di cartoni animati, quiz e telefilm dall’altra.

La consacrazione arrivò nel 1983: venerdì 4 ottobre debuttò in prima serata Drive In, un atlante illustrato dell’Italia rampante e spregiudicata che – sul filo di una comicità frenetica ed esplosiva – prendeva di mira i paninari e gli yuppies, le icone della tv (Pippo Baudo, Raffaella Carrà, Sandra Milo, perfidamente imitati da Gianfranco D’Angelo) e i protagonisti della politica, mescolando tormentoni e sberleffi, caricature (come il memorabile Vito Catozzo di Giorgio Faletti) e citazioni colte.
In onda fino al maggio 1988, Drive In fu la prima creatura di successo di Antonio Ricci, che avrebbe portato il suo stile provocatorio e irriverente anche in altri angoli del palinsesto di Italia 1: la seconda serata (con il lunare Lupo solitario, celebrato persino da Umberto Eco, e L’araba fenice) e l’ora di cena, dove mosse i primi passi Striscia la notizia, l’unico controcanto possibile alla granitica ortodossia dei TG.

Già, l’informazione: prima dell’approvazione della legge Mammì nel 1990, le tv private non avevano l’obbligo di trasmettere alcun notiziario. La realtà irruppe per la prima volta sugli schermi di Italia 1 nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, quando Emilio Fede annunciò dagli studi del neonato Studio Aperto l’inizio dell’offensiva americana sull’Iraq, cogliendo di sorpresa persino i tre telegiornali della Rai.

Il racconto in tempo reale della prima Guerra del Golfo avviò una nuova fase nella storia della rete che, sotto la direzione di Carlo Freccero, perseguì una sistematica contaminazione tra spettacolo e informazione, i cui principali interpreti furono Gianfranco Funari con il suo Mezzogiorno italiano e Giuliano Ferrara, il demiurgo de L’istruttoria. Una televisione «adulta» che, tuttavia, non dimenticava il pubblico più giovane: nei primi anni Novanta, i campioni di ascolto furono Non è la Rai – il programma di Gianni Boncompagni che sollevò critiche e polemiche per la strumentalizzazione delle sue giovanissime protagoniste – e il Karaoke, l’involontario prototipo dei talent show che diede una spinta decisiva alla carriera di Fiorello.

La generazione cresciuta negli anni Novanta, però, ricorda con immutata nostalgia i programmi della Gialappa’s Band e la lunga e fortunata serie di Mai dire, inaugurata nel 1990 con Mai dire banzai e proseguita con l’inarrivabile Mai dire gol: anche il calcio imparò a prendersi in giro, tra un «gollonzo» e un «liscio». La forza di attrazione delle serie di importazione (tra le tante, vale la pena di ricordare almeno Beverly Hills 90210 e Dr. House) e di un appuntamento di culto come Le iene consolidò il successo di Italia 1 fino all’alba degli anni Duemila, ricordati per gli ascolti da record di Zelig: il punto più alto e, al tempo stesso, l’anticamera di un lento declino che prosegue ancora oggi. Fino all’ultimo scherzo del destino: la nuova edizione de La pupa e il secchione (e viceversa) affidata a Barbara D’Urso. Quando si dice: invecchiare male.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

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