Intervista a Gabriele Ivo Moscaritolo, autore del saggio Memorie dal cratere (Editpress)
Una domenica sera di fine novembre, con la tavola quasi apparecchiata per la cena e i televisori accesi sulla sintesi di Juventus-Inter, ottava giornata del campionato di serie A. Poco dopo le sette e mezza, un terremoto di magnitudo 6.9 – il più violento registrato in Italia dal 1930 – irrompe nelle case e nelle vite di migliaia di persone. Novanta secondi che trasfigurano per sempre il volto di decine di paesi dell’Irpinia, dell’alto Calore e della provincia di Potenza. I primi, confusi lanci d’agenzia non aiutano a identificare con precisione l’epicentro della scossa. I mezzi e le squadre di soccorso incontrano mille difficoltà per raggiungere i centri più colpiti, dai quali si leva un unico, disperato grido d’aiuto e di dolore. Le prime luci di un’alba livida, infine, riveleranno al mondo la gravità e le proporzioni della tragedia: 2914 morti, quasi 9000 feriti, interi paesi cancellati per sempre. Alla catastrofe naturale in senso stretto si aggiunse «il secondo terremoto», per usare la definizione di Franco Arminio: una ricostruzione che ha spesso snaturato l’anima di molte contrade, un processo di industrializzazione fragile di cui approfittarono molti imprenditori senza scrupoli, l’emigrazione che ha progressivamente svuotato le terre del sisma. Il prossimo 23 novembre saranno trascorsi quarant’anni esatti da quella sera che ha spezzato «l’osso dell’Italia meridionale», parafrasando la celebre definizione di Manlio Rossi-Doria, e il rischio di consegnare un atto di doverosa commemorazione alla retorica è fortissimo. A questo punto, è giusto chiedersi se sia possibile raccontare questa pagina di storia con un approccio nuovo, estraneo ai luoghi comuni e alle definizioni di comodo che i media e l’opinione pubblica hanno largamente usato per compendiare la tragedia dell’Irpinia, a cominciare dalla sua appendice giudiziaria. Gabriele Ivo Moscaritolo, dottore di ricerca in Scienze sociali e statistiche all’università “Federico II” di Napoli, ha raccolto questa sfida, sforzandosi di prestare ascolto ai testimoni del sisma così come alle nuove generazioni. Memorie dal cratere. Storia sociale del terremoto in Irpinia è il titolo del suo saggio, di prossima pubblicazione per i tipi di Editpress nella collana Storie orali.
Dottor Moscaritolo, da cosa è scaturito il suo interesse per il sisma del 1980?
«Prima di tutto, c’è un aspetto di carattere personale che presiede a questo lavoro: sono originario di Mirabella Eclano, in Irpinia, e faccio parte della generazione post-terremoto, che ha dunque vissuto il sisma attraverso le testimonianze dei familiari e ha assistito al processo di ricostruzione dei paesi. Durante il mio percorso universitario, poi, mi sono appassionato agli studi sulla memoria, ai quali ho affiancato l’interesse e la curiosità per questo argomento, per la verità poco considerato dalla letteratura scientifica. Non a caso, ho dedicato al terremoto dell’Irpinia sia le mie tesi di laurea, sia la tesi di dottorato».
La sua ricerca si occupa di due comuni del cratere, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania. Per quale motivo ha deciso di focalizzare l’attenzione su questi due centri?
«Ho voluto concentrarmi su questi due casi perché rappresentano due modelli opposti di ricostruzione, che si possono associare al classico dibattito sul destino dei luoghi colpiti da una grande catastrofe: ripristinare il passato “com’era e dov’era” oppure provare ad avviare un nuovo corso? Le storie di Sant’Angelo dei Lombardi e di Conza sono i punti estremi di un orizzonte che tiene dentro tutte le dinamiche che caratterizzarono la ricostruzione, anche perché la legge dell’epoca lasciava agli enti locali ampia libertà di iniziativa».
La gestione illecita dei fondi per la ricostruzione e il rilancio dell’economia delle zone disastrate è stata oggetto di inchieste giornalistiche (il famoso Irpiniagate raccontato dal «Giornale» di Montanelli nel 1987) e di indagini della magistratura, che hanno a loro volta alimentato una serie di luoghi comuni e stereotipi sul dopo-terremoto. Come si possono superare le interpretazioni sommarie, offrendo così all’opinione pubblica un punto di vista diverso sugli eventi?
«Nella storia d’Italia, le catastrofi sono state generalmente esaminate in maniera parziale e stereotipata. Questo aspetto è particolarmente evidente nel caso dell’Irpinia, perché la narrazione degli scandali ha occupato tutta la scena, oscurando perciò ogni altro aspetto del terremoto. Ovviamente, non si possono negare i risvolti giudiziari del dopo-sisma, tanto è vero che è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta. L’enfasi con cui sono stati presentati questi episodi, però, ha confuso le acque: la stessa definizione di Irpiniagate sembra indicare uno scandalo circoscritto a un determinato territorio, con la conseguenza di attribuire a tutta la popolazione irpina le colpe del malaffare. In realtà, sappiamo che le cose sono andate diversamente: se gli enti locali si sono occupati della ricostruzione e del recupero degli insediamenti urbani, il finanziamento delle aree industriali è stato gestito dallo Stato centrale. Oltretutto, molti studi hanno dimostrato che, in provincia di Napoli, la criminalità organizzata rafforzò proprio in quegli anni la sua sfera di influenza, inserendosi nei circuiti dei subappalti e delle concessioni. Tutto questo per dire che c’è un’altra storia da raccontare: quella delle popolazioni dei comuni terremotati che, dopo i lutti e la distruzione, hanno dovuto vivere in un ambiente in continua trasformazione, adattandosi continuamente ai mutamenti sociali, economici e culturali».
Lei si è soffermato a lungo sulle differenze tra la gestione della ricostruzione a Sant’Angelo dei Lombardi e ciò che avvenne a Conza. Nel primo caso, si decise di ricostruire il paese lì dove sorgeva, mentre l’abitato di Conza fu trasferito a valle. Come hanno vissuto questa situazione gli abitanti dei due comuni, in particolar modo negli anni del «secondo terremoto»?
«Naturalmente, ci sono molte differenze tra questi due casi, soprattutto alla luce degli obiettivi di medio e lungo periodo che le due comunità intendevano conseguire. Se osserviamo da vicino il caso di Conza, sappiamo che all’inizio non c’erano aspettative ben precise: il futuro del paese dipendeva dalla forza dei suoi abitanti e dalle idee dell’amministrazione cittadina. Per come sono andate le cose, Conza rappresenta senz’altro un esempio positivo perché, nel corso degli anni, il paese è stato “vissuto” dalla sua gente. Sant’Angelo dei Lombardi, invece, rivestiva un ruolo molto importante anche in passato, dal momento che era sede di uffici e servizi pubblici essenziali come l’ospedale e il tribunale».
Nel libro trovano spazio anche le testimonianze di chi, come lei, fa parte della generazione nata dopo il 23 novembre 1980. Che cosa si è sedimentato nell’immaginario dei più giovani?
«Anche se le generazioni più giovani non hanno vissuto in prima persona quella tragedia, non c’è dubbio che il sisma sia profondamente radicato nell’identità e nel vissuto di tutti. Molte persone che, come me, sono nate negli anni Ottanta dicono di essere nate nel terremoto, in quanto hanno vissuto in contesti che oggi si definirebbero post-apocalittici: paesi distrutti, cantieri in costruzione. Dall’indagine che ho condotto emergono sensazioni molto diverse tra loro: da una parte, la curiosità per le vicende del terremoto, unita alla consapevolezza che quel passato sia un elemento imprescindibile nella storia della comunità e della famiglia di appartenenza; dall’altra c’è il desiderio di vivere il presente a partire da ciò che si ha intorno. Parlo soprattutto di persone che hanno vissuto la loro infanzia a stretto contatto con gli effetti del terremoto. Questa consapevolezza, infatti, tende progressivamente a sfumarsi tra coloro che sono nati a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta».
Per finanziare la pubblicazione di Memorie dal cratere, lei ha deciso di avviare una raccolta fondi sulla piattaforma Produzioni dal basso. Perché ha scelto il crowdfunding e quali risultati ha raggiunto fino ad oggi?
«La raccolta fondi è stata per me una scommessa. Ho preso questa decisione di concerto con la casa editrice Editpress perché consente di raggiungere il pubblico interessato al libro e, nel contempo, dà la possibilità di ottenere un forte sconto sul prezzo di copertina. Non c’è dubbio che i risultati conseguiti finora siano decisamente positivi».
Per avere maggiori informazioni sul libro di Gabriele Ivo Moscaritolo, i lettori di Venti possono collegarsi alla pagina Facebook Memorie dal cratere. Storia sociale del terremoto in Irpinia.