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Indi Mates, una chiave per l’indipendenza

Oggi abbiamo l’occasione di conoscere Elena Rasia e Margherita Pisani con il progetto “Indi Mates: una chiave per l’indipendenza” (da scoprire qui). Un progetto dove si sono incontrate le esigenze di indipendenza e autonomia di Elena, una ragazza con disabilità motoria, e quelle di Margherita, che desiderava vivere a Bologna.

Potreste descrivere come è nato questo progetto?

Elena: “Questo progetto è nato da un mio bisogno. Ho sempre vissuto in una casa di campagna, in un paesino sperduto di provincia dove la mia indipendenza era imprigionata. Se dovevo anche semplicemente bermi qualcosa con gli amici, dovevo farmi accompagnare in macchina dai miei genitori così ho deciso di iniziare a cercare una casa in affitto partendo da un annuncio online e di scrivere una mia routine quotidiana da presentare ai servizi sociali del territorio per poter essere supportata ma essere l’assoluta protagonista della mia vita e non permettere ad altri di poter scegliere al posto mio, per poter vivere un “Durante Noi”.

Marghe: “Dopo che ci siamo conosciute abbiamo iniziato ad abitare insieme aiutandoci a vicenda, il progetto ha assunto un altro aspetto e un’altra identità. É diventando il progetto di entrambe, di Ele e Marghe, e così lo abbiamo chiamato Indimates.”

Potete descrivere brevemente una vostra giornata? 

Elena: la mattina lavoro da casa (collaboro con una testata giornalistica online, due mattine a settimana le passo con Margherita perché l’assistente arriva alle due di pomeriggio, mentre le altre due con l’assistenza. La sera rivedo Margherita. Le cose sono piuttosto flessibili.” 

Marghe: “quando Elena svolge le sue attività quotidiane e di lavoro supportata dall’assistenza, io vado a lavoro e svolgo le mie attività dentro e fuori casa.”

Qualè la cosa che vi piace di più fare insieme?

Elena: “Uscire in compagnia, mangiare sushi, passare momenti di vacanza insieme, portare avanti il nostro attivismo…”

Marghe: “Mi piace tantissimo, a fine giornata, quando stiamo in poltrona a commentare le serie e i film che ci piacciono, mentre sorseggiamo una tisana calda. Abbiamo anche iniziato a fare delle video dirette sui nostri social con le persone che ci seguono ed è molto stimolante approcciarsi con i nostri rispettivi punti di vista. Poi ci sono le cene fuori e a casa con gli amici, ascoltare musica nostalgica, fare le scampagnate in macchina, gli eventi musicali e le manifestazioni…”.

Qual’è stato l’elemento che secondo voi ha reso il progetto possibile e duraturo nel tempo?

Secondo Elema e Marghe, gli elementi vincenti, sono il dialogo, il rispetto degli spazi reciproci e degli accordi presi.

Quale riscontro ha avuto il vostro progetto all’esterno? Perché tanto successo?

Elena: “È in progetto che sta crescendo insieme a noi! è un qualcosa di semplice che tutti potenzialmente potrebbero realizzare.”

Marghe: “In molti ci hanno detto, che quanto facciamo sia bello è importante, che il nostro esempio ha un valore. Il fatto che abbia successo non è dovuto solo al fatto che sia una buona idea ma anche al fatto che non è (purtroppo) una cosa comune.  Probabilmente il fatto che siamo due ragazze semplici che comunicano in modo semplice la nostra quotidianità e il modo di collaborare ha un certo impatto nei social, perché le cose di cui parliamo arrivano dritto alle persone.”

Secondo voi cosa manca a livello sociale oggi in Italia per far sì che un progetto come il vostro possa essere maggiormente diffuso?   

Elena: “Manca la reale inclusione nella società di persone con disabilità, manca l’allenamento alla collaborazione. Ad esempio: se il vicino di casa fosse attento al bisogno della persona con disabilità anche in un gesto semplice come portargli ogni tanto una spesa a casa sicuramente sarebbe un inizio per una collaborazione ed una vicinanza alla disabilità che porta ad un cambiamento.”

Marghe: “La disabilità e ancora ricoperta di pregiudizi, preconcetti, di tabù malsani e infondati. Se Elena non avesse creduto nel suo progetto, se i suoi genitori non avessero avuto fiducia in lei, non ci sarebbe riuscita. La consapevolezza personale e la fiducia dei cari sono le basi fondamentali per l’autodeterminazione. Il sistema che lavora con la disabilità poi è esso stesso debilitato da poca apertura mentale, vede tutte le persone con disabilità come assistiti che devono raggiungere degli standard di autonomia ben precisi per poter ottenere una reale indipendenza. E personalmente credo che l’indipendenza si basi sulle reali capacità ed i desideri delle persone.”

Noi facciamo gli auguri ad entrambe per la loro vita insieme e anche per il loro attivismo: ricordiamo che sono state loro ad organizzare il Primo Disability Pride a Bologna.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

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