Ho letto molti articoli sull’argomento “viaggiare da soli/e”, chiedendomi se fossi stata in grado di farlo, un giorno.
Erano di solito storie favolose di luoghi meravigliosi, e ho sempre sentito una spinta irrazionale dentro di me che mi invitava a provarci, ma non l’ho mai assecondata.
Sono abituata a viaggiare in compagnia, quindi non ho mai sentito la necessità di fare la valigia e partire senza nessuno.
Certo, ho preso aerei da sola un’infinità di volte, ma sempre per raggiungere qualche amico che viveva all’estero, non ho mai realmente affrontato la realtà di un viaggio in solitudine.
Eppure, non oltre un mese fa, ho prenotato un biglietto, approfittando di un’offerta incredibile, senza sapere se qualcuno si sarebbe unito oppure no.
Ho chiesto ad amici se volessero accompagnarmi, ma la mia ricerca non si è mai allargata e, dopo aver sentito al massimo tre persone, ho deciso di prenotare un ostello e partire senza pensarci oltre.
Non voglio parlarvi del luogo in cui sono stata, raccontarvi dei bellissimi posti che ho visto, di quello che ho mangiato, perché non ce n’è bisogno.
Viaggiare da sola è stato illuminante, anche se per poco.
La mia esperienza ha coinciso con un periodo un po’ particolare della mia vita e, forse per questo, mi sono sentita totalmente coinvolta da quello che stavo facendo, e non solo perché ero sola. Perché ne avevo bisogno. Necessitavo di qualcosa che fosse solamente mio, che potessi custodire gelosamente e conservare nel mio cuore per poterne parlare agli altri e da tenere, per me, come memento per il futuro.
Non sarò stata in India, Corea del Nord o Australia, quindi di certo non parlo di estremi, ma mi arrogo comunque il diritto di consigliare questa esperienza.
Ho messo nel mio grande zaino blu tutto ciò che mi serviva: un cambio, il beauty-case, una piccola asciugamano, due libri e un taccuino.
Ho messo sulle mie spalle il peso leggero della mia vita e l’ho portato con me, facendone mostra.
Ho trasformato un momento di stallo della mia vita in un ricordo che conservò con gelosia. Non ho nascosto a me stessa e agli altri di trovarmi da sola, perchè era, per me, la sola forma di difesa.
Per quei due giorni ho familiarizzato con dei posti che non conoscevo, e ho cercato di ritrovare in qualcuno di essi, qualcosa che mi ricordasse paesaggi già visti.
Viaggiare da soli, per me, significa imparare a convivere e conoscere la solitudine e riuscire cavarsela in situazioni non sempre facili. Bisogna essere consapevoli che a trascinare il nostro bagaglio ci siamo solo noi con noi stessi.
Una volta partiti, lentamente, si inizia e si impara a dare forma e sostanza ai propri stati d’animo e malesseri, in tal modo si riesce a stare bene e ad assorbire l’anima dei luoghi che vediamo.
Anche le paure si animano, ma quelle è più facile metterle da parte, del resto abbiamo già dimostrato di avere un pizzico di coraggio intraprendendo un’avventura senza la compagnia di nessuno.
E’ con la solitudine che si impara a ridimensionare le insicurezze e a vedere chiaramente il confine tra noi e il mondo circostante.
Viaggiare da soli è, forse, il modo migliore per imparare a conoscersi dentro e a ridefinire i propri spazi vitali.
Eppure non è così scontato riuscirci, a volte l’irruenza dei nostri pensieri non si armonizza con i rumori della città che stiamo visitando, e tutto ciò che ci tormenta si unisce alla solitudine che stiamo imparando a conoscere.
Bisogna essere cauti soprattutto nei i casi in cui viaggiare da soli è via di fuga dal dolore.
Ritrovarsi da soli in un luogo che non conosciamo, in balia di strane malinconie, potrebbe essere una faccenda non facile da risolvere. Ma non bisogna temere questi momenti o scansarli, piuttosto sarebbe preferibile accettarli ed essere pronti ad affrontarli. Perchè, tanto, non passeranno via facilmente.
Per questo, posso dirvi con certezza che da questo viaggio non sono tornata cambiata, sarebbe impossibile in due giorni soli.
Non ho lasciato da parte i pensieri e le ansie, ma ho avuto la prova che posso bastare a me stessa.
Ho realizzato, più di altre volte, che posso contare su di me in qualsiasi momento, anche quando tutte le mie fragilità prendono il sopravvento e non riesco a venirne a capo.
Non sono rinata come una fenice dalle proprie ceneri, ma sto ricostruendo lentamente i pezzi della mia esistenza ancora immatura nonostante le esperienze.
Sento di aver superato una prova a pieni voti, e non perché ho preso degli aerei da sola, ho girato senza meta in una città sconosciuta o perché, per la prima volta, mi sono seduta al tavolo per uno. No, non è questo il punto, o meglio, non solo.
Ho impacchettato le mie paure, timori, angosce, le ho messe sulle mie spalle insieme al mio zaino e le ho portate con me altrove, le ho fatte sedere alla sedia di fronte alla mia, dialogandovi a lungo. Ne ho fatto sfoggio, mi ci sono agghindata, e sono stata felice.
Quindi no, da questo viaggio di certo non sono tornata diversa, e al mio arrivo a casa, non ho trovato nulla se non ciò che ho imparato a conoscere col tempo.
Viaggiare da soli non è una forma di egoismo o spavalderia, è solo una umana esigenza di sentirsi parte del mondo che abitiamo nel modo più semplice.
Viaggiare da soli non significa sentirsi migliori o arrivati, è il semplice bisogno di conquistare maggiore autonomia e indipendenza.
Viaggiare da soli vuol dire sentire la necessità di una fuga, seppure estemporanea, da tutto ciò che è noto e già vissuto. È la forma di immersione nella realtà più forte che io abbia mai vissuto: come quando sei al mare, ti cali sott’acqua e vai in apnea.
Viaggiare da sola è stata l’apnea che mi serviva per tornare a respirare.
È vero, è bello dividere l’altra metà del cielo con altri, ma, in questo modo, ho conquistato un pezzo della mia metà e sono pronta a donarlo a qualcun altro che voglia fare lo stesso.
Sapere di essere una persona affidabile è la prima e necessaria convinzione con cui dobbiamo partire. Una volta che sappiamo di poter contare su noi stessi, qualche volta possiamo anche concederci il lusso di dimenticarlo.