Venti Blog

Il ritorno in ufficio è una metafora per il futuro

Con la fase critica della pandemia ormai alle spalle, vocaboli come restrizioni ed isolamento hanno ormai abbandonato il vocabolario quotidiano. Tra questi anche smart working.

La scorsa settimana, proprio riguardo al tema del rientro in presenza in ufficio, ha fatto molto discutere la richiesta del famoso imprenditore Elon Musk. Infatti, con una comunicazione poi pubblicata sul web, chiedeva ai manager di una delle sue aziende, Tesla, di rientrare in presenza per “almeno 40 ore a settimana”. Queste dichiarazioni hanno lasciato spazio a numerosi commenti sul web, in particolare tra le pagine del social network LinkedIn, dedicato a contenuti legati al mondo del lavoro. Dopo due anni durante i quali è stato dimostrato che un altro modo di lavorare è possibile, non pochi lavoratori (non solo in Tesla) si stanno dimostrando restii al ritorno ad un vecchio modello di lavoro in presenza – e alla conseguente diminuzione di tempo libero.
A tal proposito, qualche mese fa sempre tra le pagine di LinkedIn fece molto riflettere un estratto di un discorso di Sundar Pichai, AD di Google (parole successivamente attribuite a Brian Dyson, ex AD di Coca-Cola).
Al di là dalla disputa sulla paternità del discorso, le il messaggio offre uno spunto di riflessione straordinario sullo squilibrio nelle nostre vite in favore del lavoro: “Immagina la vita come un gioco in cui bisogna tenere in aria cinque palline. Queste sono lavoro, famiglia, salute, amici e spirito. Capirai presto che il lavoro è una palla di gomma. Se la lasci cadere, questa rimbalzerà e tornerà indietro. Ma le altre quattro palline – famiglia, salute, amici e spirito – sono fatte di vetro. Se ne cade una, questa sarà irrevocabilmente graffiata, segnata, intaccata, danneggiata o addirittura frantumata. Non sarà mai più la stessa. Devi capirlo e cercare di trovare l’equilibrio nella vita”.

Nonostante il breve messaggio, la metafora si dimostra densa di significato. Ad un certo punto nel nostro percorso, più o meno tutti abbiamo male interpretato il materiale delle cinque palline con le quali ci stavamo destreggiando, giudicando la pallina del lavoro di vetro sottile e le restanti quattro essere fatte di robustissima gomma.
In pochi istanti ho ripensato alle mie esperienze e quelle di tante altre persone incontrate negli ultimi anni. Penso a quanta energia venga dissipata ogni giorno in molte occupazioni che, in alcuni casi, sono poco più di una busta paga a fine mese. Penso all’incertezza dei neolaureati che faticano a trovare una stabilità anche dopo diversi anni di sacrifici. Penso alle conseguenze di una cultura del lavoro insostenibile (su questo tema il sito web di ricerca del lavoro indeed.com ha intervistato oltre 1.500 dipendenti statunitensi in diversi settori, scoprendo che il 57% del campione soffriva della sindrome da burnout nel 2021). E qual è la ragione di questo sforzo diffuso? Se a volte questo è il risultato di un mercato del lavoro disgregato e mal regolato, la ragione alla base di questo squilibrio è anche la ricerca di valori materiali come denaro e cliché sociali. Paradossalmente, i professionisti di successo – nonostante la loro appartenenza a categorie di lavoro d’élite – sono quelli più esposti al rischio di rimanere intrappolati in questa corsa autolesionista.

Rimanendo consapevole che obblighi personali, familiari e finanziari non possono essere rispettati solo con belle parole e discorsi di principio, bisogna riconoscere che in un contesto socioeconomico come quello attuale è sempre più necessario ricalibrare le priorità. Fino alla prossima video call.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Exit mobile version