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Il Recovery Fund: se l’Europa fa l’Unione

Lo scenario economico-politico degli ultimi mesi ed in particolar modo degli ultimi giorni è stata letteralmente dominata dall’argomento Recovery Fund. Quello raggiunto nella notte tra lunedì 20 e martedì 21 luglio è un accordo di portata storica, non solo per un aspetto puramente finanziario ma soprattutto in termini di socialità e di unità all’interno dell’Unione Europea.

Probabilmente, questo giorno sarà in futuro letto sui libri di storia. Il Consiglio Europeo che ha portato al raggiungimento di un’intesa fra i diversi Paesi facenti parte dell’Unione ha preso il via, a Bruxelles, nella mattina di venerdì 17 luglio. Sono state necessarie, dunque, 96 ore di febbrili discussioni e trattative che hanno visto schierati da una parte i Paesi del sud Europa, tra cui l’Italia, maggiormente investiti dalla recente pandemia di Covid 19, dall’altra i Paesi del nord definiti “frugali”, capeggiati dall’Olanda, per loro fortuna poco colpiti, e, pertanto, poco propensi ad accorrere in aiuto degli altri Stati.

Il lockdown ha avuto un impatto sonoro su molte economie. Il PIL italiano nel 2020, secondo le stime della Commissione Europea, crollerà dell’11,2%, per poi risalire del 6.1% nel 2021. Analogamente l’intera Eurozona vedrà una contrazione del PIL in media dell’8,7% nel 2020 con crescita del 5,8% nel 2021. Il dato italiano deriva con molta probabilità dal fatto che il nostro Paese è stato il primo a subire la pandemia e, dunque, il primo a dover ricorrere alla misura della quarantena obbligatoria.

Il Recovery Fund è una parte, sicuramente la più corposa, della risposta che l’Europa offre alla crisi economico-finanziaria innescata dall’emergenza sanitaria, purtroppo ancora in corso, e che spiegherà i suoi effetti anche nei mesi a venire. Questa misura di aiuti per le singole economie nazionali si inserisce nel contesto di “Next Generation EU”, piano di aiuti che sarà ricompreso nel prossimo bilancio dell’Unione Europea. Il fondo di recupero, tema cardine dell’ultimo Consiglio Europeo, è un fondo finanziato tramite l’emissione di titoli del debito pubblico comunitario dell’Unione. La struttura finanziaria del Recovery Fund è di 750 miliardi di euro, secondo quanto proposto della presidente della Commissione Europea, Von Der Leyen, con un incremento di 250 miliardi rispetto al piano iniziale proposto da Germania e Francia. Questo stanziamento sarà suddiviso in 390 miliardi di euro concedibili sotto forma di sovvenzioni agli Stati membri, e 360 miliardi che saranno concessi sotto forma di prestiti, con l’obbligo quindi di rimborso per i riceventi.

L’Italia riceverà 209 miliardi di Euro, di cui 81,8 miliardi saranno erogati come sovvenzioni e 127,2 come prestiti. Riceverà circa il 28% dell’intero piano. Inizialmente, il nostro Paese sperava di ottenere 174 miliardi, di cui 85 a fondo perduto e 89 sotto forma di debito, quindi, alla fine, il Consiglio ha previsto un aumento degli aiuti per il rilancio della nostra economia di circa 35 miliardi.

L’importanza di quanto accaduto lunedì notte sta nel fatto che per la prima volta dell’Unione è stato introdotto un meccanismo di condivisione del debito da parte degli Stati membri. Finora i Paesi del nord, i cosiddetti Paesi a tripla A nel rating, con la Germania in testa, erano sempre stati restii ad aderire a qualsiasi strumento di questo tipo. In questa situazione, invece, sembra che la cabina di regia dell’operazione sia stata guidata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Per la prima volta si assiste ad una svolta solidale dell’Europa. Il raggiungimento di tale accordo sembra addolcire la strada che potrà portare ad una vera unione fiscale, perché il Recovery Fund sarà sottoposto alla legislazione della Commissione Europea. La stessa Commissione Europea vigilerà quindi sull’utilizzo che i singoli Stati faranno di tali fondi e potrà essere investita di un vero e proprio ruolo di tesoreria. Del resto appare singolare come possa esistere l’unione monetaria senza l’unione fiscale.

Una condizionalità relativa all’utilizzo di questi aiuti è legata alla presentazioni di articolati piani di riforma che dovranno essere improntati anche verso una digitalizzazione delle economie ed alla difesa del clima. Nessun Paese membro dell’Unione potrà porre il proprio veto sullo sfruttamento delle risorse da parte degli altri Stati, sarà la Commissione che a maggioranza darà il via libera a quanto deciso dai singoli governi. Il premier olandese Rutte pur spingendo molto sul diritto di veto non è riuscito ad ottenere quanto richiesto in sede di negoziato. I Paesi frugali dal canto loro hanno ottenuto delle riduzioni in relazione alla loro partecipazione al bilancio dell’Unione.

Next Generatione Eu comprende anche il MES, il cosiddetto “fondo salva Stati” che non prevede condizionalità per le sole spese legate alla sanità, ed i cui fondi disponibili sono di 240 miliardi di euro; il fondo Sure, contro la disoccupazione, che prevede uno stanziamento di circa 100 miliardi di euro per finanziare le sole casse integrazioni nazionali; le linee di credito BEI, ovvero una linea di credito garantita dalla Banca Europea, che prevede la possibilità di mutualizzare i costi sostenuti per gli investimenti dagli Stati membri, con un’assunzione di garanzia da parte dei Paesi meno indebitati, con prevede uno stanziamento da 200 miliardi di euro. Da queste tre misure l’Italia potrebbe ottenere in caso di attivazione rispettivamente ulteriori 37, 20 e 40 miliardi di euro, sotto forma di prestiti. Altra misura da non tenere nell’ombra è quella del programma di investimenti della BCE, che già nel mese di Marzo ha messo in campo risorse per 750 miliardi, cui è stato aggiunto un nuovo “Quantitative Easing” da 660 miliardi di euro.

Il QE è la possibilità per la BCE di acquistare titoli del debito pubblico emessi dai singoli Stati membri, in modo da finanziare gli Stati emittenti, ed evitare oscillazioni in termini spread che, come sappiamo, non pochi problemi ha causato alle singole economie nazionali. Il QE venne introdotto nel contesto del nostro continente nel 2015, dall’allora presidente della Banca Centrale Europea, a corredo della famosa frase “Whatever it takes”, cioè l’impegno che Draghi si assunse a salvare l’Unione Europea dall’implosione economica ponendo in essere qualsiasi tipo di misura.

L’intesa raggiunta sul Recovery Fund sembra poterci ricollocare all’interno della Comunità Europea, che negli ultimi anni sembrava scontrarsi con gli interessi dei singoli Stati membri. Sembrano finalmente lontani i tempi del “Ce lo chiede l’Europa”, relativamente ai diversi sacrifici che anche l’Italia dovette affrontare per uscire dalla palude della crisi economica del 2008/2009. L’Europa sognata dai fondatori, di cui l’Italia fu da sempre promotrice, deve essere realmente degna del premio Nobel ricevuto nel 2012 per “aver contribuito all’avanzamento della pace della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani”. Il derby inscenato tra europeisti e sovranisti perde di significato, così come non ha senso parlare di vittoria italiana o sconfitta olandese poiché in un contesto di emergenza come quello attuale si vince solo remando tutti nella stessa direzione. Si vince solo giocando da squadra. Allo stesso modo può essere fuorviante pensare che l’Italia grazie a questi fondi rimetta a posto qualsiasi problema, piuttosto bisogna capire che gli aiuti europei sono sicuramente utili ma è necessario sfruttarli in maniera adeguata. Non saper cogliere questa sfida potrebbe essere drammatico per la nostra economia. Quindi, la partita ancora è tutta da giocare.

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