La letteratura italiana è costellata da grandi scrittori, rimasti per sempre impressi nella storia. Tuttavia c’è un autore, vincitore del Premio Strega, che non ha avuto degno riconoscimento del suo genio letterario, e risponde al nome di Dino Buzzati. Il suo estro si manifesta in vari campi, dalla letteratura, alla pittura fino al giornalismo: “Che io scriva o dipinga, io perseguo il medesimo scopo, che é quello di raccontare delle storie”.
Buzzati iniziò la sua carriera come inviato del Corriere della Sera, con una particolare predilezione per la cronaca nera. Nato nel bellunese, infaticabile alpinista, ci conduce attraverso le sue opere surreali sulle montagne che tanto amava, trasmette emozioni forti e inattese, che ci turbano nel profondo e nel contempo sprigionano un’energia positiva che solo chi ne studia la prosa riesce a cogliere, e ne resta affascinato.
La mia passione per Buzzati è nata per caso – mio padre mi regalò “I centottanta racconti” – ed io mi imbattei subito in una lettura emotivamente travolgente, “I giorni perduti”. Qui l’autore coinvolge il lettore ad un livello più profondo, ritirandosi quasi in disparte; non si limita a raccontarci una storia, bensì ci rende partecipi di essa, rendendoci così protagonisti. Buzzati è infatti maestro nell’arte del mostrare senza dire e l’accurata scelta delle parole è essenziale per comprendere presto i significati nascosti all’interno del testo.
L’ambiente è borghese, come testimonia la frase – la sontuosa villa – i personaggi sono due, Kazirra ed il misterioso uomo che porta via le casse da casa sua. Anche qui, come in quasi tutte le opere di Buzzati, del protagonista non conosciamo nulla.
E’ una lettura profonda, che ci permette di entrare all’interno della trama: leggendo ci troviamo infatti di fronte al misterioso uomo, assistiamo anche noi al momento in cui le casse vengono portate via e scaraventate in fondo ad una scarpata, ci immedesimiamo in lui, e proviamo lo stesso tragico stupore alla fine del racconto.
Tuttavia, chi è il vero ladro? E’ Kazirra stesso, si è derubato dei suoi affetti, del suo fedele cagnolino che ha abbandonato, lasciandolo pelle e ossa, del fratello che stava male e lo aspettava, della sua fidanzata, Graziella, che ha lasciato andar via. E’ lui il ladro dei suoi giorni perduti.
Kazirra cerca di corrompere il signore delle scatole, gli promette in dono i suoi averi nella vana speranza di riuscire così a recuperare gli affetti dei suoi giorni perduti.
Il passaggio dal tu al Lei é significativo. Dal “ti ho visto” al “Signore, la supplico..” quando comprende di essere lui stesso il ladro delle casse.
Ciascuno di noi può identificarsi in Kazirra, ciascuno di noi può rendersi conto del valore degli affetti, e il messaggio di Buzzati è che non dobbiamo farci corrompere dalla sete di potere, dagli impegni e dalle ambizioni lavorative, perché il tempo non perdona, scorre inesorabile e dobbiamo vivere ogni momento al massimo.
Quella di Buzzati è un’amara critica della borghesia, della mancanza di valori, è un monito ad aprire gli occhi in tempo, altrimenti gli affetti andranno perduti per sempre.
I personaggi dei suoi racconti sono spesso borghesi dalla vita ripetitiva che viene d’un tratto turbata da un avvenimento fantastico, inspiegabile e li porta a redimersi sul significato della loro esistenza. Tuttavia, ne I giorni perduti, è ormai troppo tardi – come testimonia l’ultima frase –
“E l’ombra della notte scendeva.”
I suoi temi ricorrenti sono lo scorrere del tempo e le montagne che tanto amava, che rappresentavano limiti talvolta invalicabili, ma anche uno spunto per affacciarsi e vedere cosa c’è oltre. Il bisogno di scoprire, di esplorare mondi nuovi lo portava verso un mondo misterioso.
L’occasione, che si presenta per i suoi protagonisti solo una volta nella vita, è un elemento che caratterizza la sua poetica, insieme al timore dello scorrere del tempo, che è visto come qualcosa di inesorabile, che l’uomo non può contrastare.
Le montagne non sono altro che una metafora dell’ambiente della redazione del giornale per cui lavorava; per molti anni aveva assistito inerme all’infelicità dei suoi colleghi, alla loro impossibilità nonostante l’impegno di realizzarsi veramente.
Un altro tema caro a Buzzati è il tema della morte, vista come fine delle illusioni, analizzata nelle sue sfaccettature – come viaggio dopo la morte, privo di speranza, o come breve ritorno da essa – come accade ne Il Mantello, che fa parte dei Sessanta Racconti, in cui si narra la storia di Giovanni, un ragazzo che ritorna dalla guerra in un modo diverso da quello che la sua famiglia si aspettava. Anche qui Buzzati ci fa vivere la sensazione nascosta di ansia e terrore della madre, quel sesto senso che le fa comprendere che qualcosa di innaturale, forse un oscuro segreto alberga in suo figlio.
I suoi personaggi sono in perenne lotta con un destino, visto come qualcosa di più grande e incontrastabile. Ne Il mantello infatti, leggiamo:
“Era già alla porta. Uscì come portato dal vento. Attraversò l’orto quasi di corsa, aprì il cancelletto, due cavalli partirono al galoppo, sotto il cielo grigio, non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie, su verso il nord, in direzione delle montagne. Galoppavano, galoppavano.”
Anche il paesaggio è elemento fondamentale del suo realismo magico, anche qui vi sono le montagne, e le ritroviamo ne “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” .
La sua scrittura è delicata ma decisa, dimostrando sempre l’estrema eleganza di Buzzati nel modo di raccontare.
Il romanzo fu pubblicato inizialmente a puntate nel Corriere dei Piccoli, ma ha un significato ben più profondo ed è un libro rivolto anche agli adulti. E’ la storia della guerra tra il Granduca di Sicilia e Leonzio, il re degli orsi che decide di condurre il suo popolo dalle montagne fino alla pianura in cui vivono gli uomini, alla ricerca di suo figlio Tonio e nella speranza di trovare del cibo. Gli orsi piccoli infatti, bloccati in un gelido inverno, soffrono la fame e gli orsi grandi si muovono in cerca di una vita migliore. La fiaba é molto attuale, mi ha subito ricordato il problema dei migranti, che spinti dalla disperazione si spostano nella vana illusione di trovare il paradiso. Gli orsi troveranno il benessere, tuttavia scopriranno a loro spese che la ricchezza non é sinonimo di felicità, e come avviene anche tra gli uomini, tutti gli eccessi portano alla corruzione e alla perdita dei valori. Grazie all’ultimo desiderio di Re Leonzio, il bisogno di tornare alle origini e il desiderio della vita semplice, riporterà gli orsi sulla buona strada. Di recente ne è stato realizzato anche un film d’animazione, presentato al Festival del Cinema di Cannes, dal forte impatto visivo soprattutto per i disegni e i colori. A dirigere il film è Lorenzo Mattotti, uno dei più grandi fumettisti italiani al mondo; il celebre scrittore Andrea Camilleri, orgoglio della Sicilia, ci ha fatto un ultimo regalo, prestando la sua voce al vecchio e saggio orso.
E se i temi di Buzzati possono sembrare faticosi, si trova in lui la chiave per godere delle cose belle che la vita ci può offrire: vedo nei suoi racconti un monito a non lasciarsi scappare le opportunità della vita, in un modo certamente diverso da quello convenzionale, con un’ironia tagliente e un umorismo quasi nero. Buzzati ha il dono di leggere la realtà in modo più profondo, come un saggio che vede le cose del mondo da una prospettiva diversa, più matura, profonda.