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Il mondo è bello perché è vario

Di Elvira Scarnati

 

Differenza: 1. L’esser differente; mancanza di identità, di somiglianza o di corrispondenza fra persone o cose che sono diverse tra loro per natura o per qualità e caratteri; 2. Letter. Dissidio, contrasto, discordia, o lite, controversia.”

Queste sono due delle definizioni che la Treccani da del termine “differenza”, e credo siano anche le più indicative. Essere diversi vuol dire non combaciare, mancare di identità, ma vuol dire anche avere contrasti. E mai come in questi giorni, stiamo assistendo da vicino a terribili scontri per differenze culturali e religiose.
Sembra assurdo come ancora l’uomo non abbia imparato ad accettare e convivere con le diversità, a capire che è essenziale e bello distinguersi e che scoprire ciò che non ci appartiene può incuriosire e attrarre, non solo spaventare.
Invece, in questo 2015 continuano i corsi e ricorsi storici, si sente ancora parlare di crociate per uniformare tutti sotto un unico credo e un unico modo di vivere. Stavolta però non siamo noi occidentali a levare la bandiera e andare “all’attacco”, stavolta ci troviamo dalla parte opposta del campo di battaglia (e speriamo che questo campo resti solo figurato), siamo noi ad essere nel mirino, e a temere.
Le controversie e le lotte per eliminare e uniformare qualsiasi tipo di differenza non sono solo nelle guerre, sono anche nella vita quotidiana. Basti pensare al bullismo nelle scuole, ai soprusi che subiscono i più deboli o agli insulti e le offese contro omosessuali e donne. Che poi, anche il solo dover parlare di “quote di genere”, dell’importanza di avere le cosiddette “quote rosa” nelle aziende o in politica, non è una forma di discriminazione implicita? Il dover sottolineare una differenza per modificare un comportamento discriminatorio.

Altro vocabolo che mi viene in mente è Omologazione: ”Uniformazione, riduzione a un determinato modello, con appiattimento delle differenze e delle peculiarità prima esistenti.”
Per quanto ci sforziamo di non ammetterlo, tutti cerchiamo di omologarci a modelli diffusi, per fame di consenso e accettazione, senso di appartenenza e insicurezza.
Qualche giorno fa, nel pieno dei giorni della merla e del freddo polare milanese, ho visto una ragazza passeggiare per strada con i sandali (rigorosamente senza calze), affermare convinta “questa è moda, non capite!” e spronare un’amica astemia a bere alcolici “perché tutti bevono e bisogna fare così!”. Ma è possibile che per ottenere il consenso degli altri appiattiamo quasi del tutto la nostra personalità e perdiamo il senso critico?
I libri di storia e il buon senso dovrebbero insegnarci che la volontà di eliminare le differenze con l’omologazione, la discriminazione, l’oppressione e l’imposizione, rivela una profonda stupidità. E’ profondamente ingiusto e sbagliato. Le differenze devono poter convivere e integrarsi a vicenda. D’altronde, il mondo è bello perché è vario!

Da qui un altro termine estrapolato dalla Treccani: Integrazione: 1. In senso generico, il fatto di integrare, di rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto; 2. Inserzione, incorporazione, assimilazione di un individuo, di una categoria, di un gruppo etnico in un ambiente sociale, in un’organizzazione, in una comunità etnica, in una società costituita.”
Integrare le differenze vuol dire unirle fra loro in un tutt’uno variegato e misto, senza opprimere e reprimere, senza segregare nessuna diversità. “Rendere pieno e perfetto ciò che è incompleto”. Questa è l’immagine che mi piace. Unire realtà diverse per completarle a vicenda, perfezionarle solo con l’incontro reciproco, che non è scontro o tentativo di uniformare, vuol dire completarsi nella diversità.

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