Oggi ricorre il 76° anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo e dai suoi crimini. È una festa che dovrebbe ravvivare in noi lo spirito e l’orgoglio di essere italiani. A partire dal 25 Aprile 1945 noi siamo un popolo civile e libero. Esemplari sono le parole del filosofo, politologo ed anche senatore a vita del parlamento italiano, Norberto Bobbio che disse:
“Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà.”
Probabilmente fino a qualche tempo fa non eravamo pienamente in grado di capire il significato di questa parola poiché come disse un altro dei grandi artefici della liberazione italiana, Piero Calamandrei,
“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.
Ho detto, volontariamente, che fino a qualche tempo fa non eravamo in grado di conoscere pienamente la parola libertà, perché oggi, data l’emergenza sanitaria in corso e considerata la situazione paradossale che stiamo vivendo, quanto ci sentiamo veramente liberi? Nel momento in cui ci è vietata una semplice corsetta o un caffè in compagnia, siamo veramente liberi? Allora, azzardando un paragone, quanto si discostano dai partigiani di allora i nostri medici ed infermieri di oggi? 75 anni fa si combattè contro un nemico duro e visibile, l’invasore tedesco che opprimeva l’Italia e gli italiani, oggi si combatte contro un nemico invisibile. Ma quanti di noi oggi si sentono oppressi e privati della loro libertà da questo nemico tanto invisibile quanto insidioso? E quanti di noi sognano oggi, come allora, la liberazione dall’oppressore ed il conseguente ritorno alla normalità? Quanti di noi sognano che stasera il presidente Draghi intervenga in TV, come fece via radio Pertini 76 anni fa, ed annunci che l’incubo è terminato e così come allora possiamo discendere nuovamente in piazza per riabbracciarci tutti insieme, collettivamente, da nazione viva, unita e, nuovamente, liberata?
L’ideale della Resistenza che ispirò le grandi gesta di 76 anni fa deve pervaderci anche oggi. Il verbo resistere indica l’opposizione a qualcosa, limitandone gli effetti o impedendoli addirittura. L’odierna resistenza che ci viene richiesta è totalmente diversa da quella di allora. E qui vengono in mente le parole dello scrittore cileno Luis Sepùlveda, morto lo scorso anno a causa del Covid 19, autore di alcuni dei più bei pensieri sulla libertà e sulla dignità dell’essere umano:
“Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori”.
Riprendendo il parallelo Draghi – Pertini, oggi ci si chiede di evitare, nuovamente, la rapida diffusione dei contagi, 76 anni fa si chiese ai nostri nonni di scendere in piazza imbracciando le armi e porre l’invasore di fronte alla scelta tra la resa e la morte. Dunque non ci sono chiesti grandi gesta ma per vivere, in piedi, questo dramma dell’era moderna basta possedere un po’ di senso civico. Diverso è il nemico, diverse sono le armi da utilizzare per combatterlo, diversi sono gli attori del combattimento. Uguale deve essere, però, il sentimento che ci anima, ovvero la voglia di tornare a riappropriarci delle nostre vite, la voglia di tornare a vivere da persone libere. Altrettanto uguale deve essere lo spirito unitario che ci accomuna oggi, come accomunava i partigiani allora. L’obiettivo finale è unico, per tutti, e tutti, uniti, insieme lo potremo raggiungere.
Se pensiamo per un momento di poter essere noi – che oggi osserviamo le regole – la gente comune che 76 anni fa rese possibile l’azione liberatoria e pensiamo nuovamente a medici, infermieri e vaccinatori come i moderni partigiani, non ci sentiamo, davvero, pervadere anche oggi da qual sentimento che portò alla liberazione nel 1945? Non ci sentiamo rabbrividire di fronte a questa impresa che siamo chiamati a realizzare?
La speranza, oggi, è che il 25 Aprile possa ricoprire i caratteri di ciò che in realtà è: una festa di tutti, per tutti, e che deve unire tutti gli italiani. È opportuno precisare questa cosa, perché per troppo tempo negli ultimi anni abbiamo sentito domande del tipo: “Siamo sicuri che a distanza di così tanti anni sia ancora così necessario celebrare il 25 Aprile? Non è forse eccessiva l’importanza che viene tributata a questa festa? Perché dividere ulteriormente una nazione per festeggiare un ricordo ormai lontano?” Queste sono alcuni dei quesiti meno appropriati o, oserei dire, fuori luogo che ogni anno si rincorrono in alcuni segmenti dell’opinione pubblica. Sbaglia chi tenta di far passare questa data per una giornata divisiva. Proviamo però, ugualmente, a rispondervi. Dunque, sì, celebrare il 25 Aprile è importante per tributare ogni anno il giusto rispetto e la giusta riconoscenza a quelle persone che in nome della libertà della nostra Patria diedero la vita 76 anni fa. Festeggiare il 25 Aprile è un ulteriore gesto di riconoscenza verso gli anziani che a causa del Coronavirus hanno perso la vita oggi, e che combatterono per liberare il nostro bel Paese. Non dobbiamo permettere che la loro memoria venga perduta.
Questa ricorrenza non è solo un momento solenne che si apre e si chiude in uno specifico giorno dell’anno. Il 25 Aprile è un’eterna lezione di vita, è un qualcosa da cui bisogna sempre imparare ed attingere conoscenza. Comprendere questo giorno è un modo per comprendere ciò che siamo, da dove veniamo e cosa siamo o potremo essere chiamati a fare. Il 25 Aprile non può essere una festa divisiva. Non si può essere pro o contro il 25 Aprile per la natura stessa di questo giorno. Chi, anche in passato, si è schierato e si schiera contro la festa della Liberazione non considera che può fare tutto ciò proprio perché vi è stata una liberazione. Sostanzialmente, il 25 Aprile dà la possibilità a tutti gli italiani di esprimere liberamente il proprio pensiero. Se oggi possiamo, per assurdo, anche denigrare e criticare chi celebra la liberazione, lo dobbiamo proprio alla liberazione ed a chi ha dato la vita affinché, tutti, fossimo liberi. Il 25 Aprile, dunque, avvolge. Avvolge sia chi sceglie la celebrazione e la commemorazione sia chi decide di non festeggiare. Entrambe queste categorie di persone possono esercitare la libertà di scegliere. Tale libertà deriva proprio dall’esistenza, 76 anni fa, del 25 Aprile.
Sempre in questo importantissimo giorno affonda le sue radici la Costituzione repubblicana, più volte definita la più bella del mondo, poiché i partigiani combatterono sostanzialmente con un duplice obiettivo: la libertà e la democrazia. Come sosteneva Carlo Smuraglia, noto giurista lombardo, i giovani di allora non erano disposti ad abbattere il fascismo per tornare allo Statuto Albertino, con la figura del re. Chi ha liberato l’Italia lo ha fatto affinché tutti fossimo uguali nei diritti e nelle opportunità. Dunque, molto di quello che noi siamo lo dobbiamo a questo giorno e nel momento in cui ci sentiamo sul punto di mollare come nazione, perché la situazione attuale è, ancora, ardua e la ripartenza si preannuncia alquanto difficile e dolorosa, il 25 Aprile rappresenta un faro che deve illuminarci ed indicarci la strada da seguire.
Resistere oggi come allora: uniti.
Viva l’Italia. Viva l’Italia libera.