I giovani e la storia al centro del Sole Luna Doc Film Festival

Intervista a Lucia Gotti Venturato, presidente del “Sole Luna Doc Film Festival” dedicato ai giovani registi

Nella suggestiva cornice di Santa Maria dello Spasimo, a Palermo, dal 6 al 12 luglio si è svolta quest’anno la XV edizione del Sole Luna Doc Film Festival, rassegna internazionale del documentario d’autore.

“Giovani” e “Archivi” sono i temi principali di quest’edizione pensata dai direttori artistici Chiara Andrich e Andrea Mura, dalla direttrice scientifica Gabriella D’Agostino e dalla presidente Lucia Gotti Venturato: i giovani e la loro lotta per la libertà di opinione e per i diritti umani, e gli archivi con le immagini e i ricordi del passato da riscoprire, fondamentali per rinascere dopo la pandemia. 
Tra le novità importanti di quest’anno il “Sicilia Doc”, realizzato in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sede Sicilia e la piattaforma europea Tënk, che dà spazio ai giovani registi diplomati del corso di regia del documentario. 
Durante lo svolgimento del Festival ho intervistato Lucia Gotti Venturato, ideatrice e presidente dell’associazione non profit Sole Luna – Un Ponte tra le culture.  

Come nasce Sole Luna? 

Il progetto nasce nel 2005 per una coincidenza: lavoravo alla Commissione Esteri della Camera, mi occupavo dell’ufficio studi di un onorevole e ho deciso di mettere in piedi qualcosa che fosse utile ad un pubblico più ampio, approfittando della mia conoscenza nel campo della geopolitica internazionale. Da qui l’idea del cinema documentario – il cinema del reale – capace di trasmettere valori e informazione, attraverso visioni di realtà del mondo in maniera documentale. Ho pensato a un festival dedicato proprio a questo ponte di conoscenza; l’associazione si chiama infatti “SoleLuna – un Ponte tra le culture”.

Perché Palermo? 

Al Ministero dei Beni Culturali mi dissero che in Sicilia stava nascendo un grande progetto sull’audiovisivo. Mi suggerirono allora di inserire il festival di documentari all’interno del CSC di Palermo, dove si poteva creare una bella sinergia.

Il tema principale di questa edizione sono i giovani. Cosa consiglierebbe a un aspirante regista? 

Consiglio di frequentare i Festival e di capire come funzionano, perché i ragazzi che hanno lavorato con noi negli anni, nascenti film-makers, hanno tratto vantaggio dall’aver visto centinaia di film per esempio come selezionatori per le loro produzioni. Capiamo subito il film che ci godremo fino all’ultimo videogramma e ci rendiamo conto delle lungaggini e di ciò che appesantisce il documentario. Mentre un documentario oggi può anche essere fatto in casa, un film invece ha bisogno di un occhio esterno, di un regista, di una fotografia fatta da chi fa le riprese, di un fonico; l’ideale sarebbe che non fosse montato dal regista, perché proprio un occhio estraneo alla macchina da presa, vede un tramonto che è stato “forzato” e dice “questo non lo metto”. Il regista invece, che magari ha aspettato sette ore per vedere quel tramonto, non lo butterebbe mai via, perché ci è affezionato. C’è necessità di una scrematura, di una pulizia del film che avviene con il montaggio: in questo modo i ragazzi imparano tanto, perché in una marea di film ti rendi conto di quello che non dovrai fare. 
La mia visione è importante dal punto di vista geopolitico e della diplomazia internazionale. È giusto denunciare soprusi o violazioni dei diritti dell’uomo ma lo devi fare senza mettere in discussione l’equilibrio dei Paesi. Se mettiamo un film palestinese ne avremo anche uno israeliano in concorso; il compito istituzionale di un presidente è presidiare questo genere di situazioni per non urtare la sensibilità di nessuno. A Treviso, dove organizziamo un festival, a Milano dove siamo partner del Festival dei Diritti Umani e soprattutto a Palermo, lavoriamo con le scuole superiori e organizziamo tutti gli anni dei corsi di formazione alla visione del cinema documentario con attenzione al linguaggio audiovisivo e al tema dei diritti umani.

Quest’anno ci sarà anche una giuria popolare di studenti. 

Abbiamo una giuria popolare di studenti dell’Einstein e del Finocchiaro Aprile e una “Giuria dei nuovi italiani”, formata da giovani migranti o figli di migranti che studiano all’Università di Palermo. Tutti i nostri ragazzi che lavorano al festival in maniera volontaria si occupano durante l’anno delle scuole e delle associazioni di giovani migranti, di minori non accompagnati e di altre simili realtà. Negli anni abbiamo lavorato anche con le Università e con le scuole superiori di Mediazione Linguistica. Abbiamo organizzato stage e tirocini presso le università di Ca’ Foscari, Padova, La Sapienza di Roma, Tor Vergata, Torino e ovviamente Palermo, e ci occupiamo sia di antropologia culturale attraverso il cinema che di stage attuativi per i Master Grandi Eventi. Insegniamo il sottotitolaggio alle scuole di Mediazione Linguistica e all’Università di Palermo. Le nostre ragazze durante tutto l’anno fanno dei corsi formativi: i sottotitoli del festival vengono realizzati dagli stagisti e poi revisionati e controllati. Abbiamo una blogger fantastica, Cinzia Costa, che scrive molto bene e affianca l’ufficio stampa. Il festival è un’azienda, un laboratorio di formazione interna, che avviene non solo in campo cinematografico ma anche tecnico, perché piano piano ognuno di noi trova la sua peculiarità e si appropria di un settore del festival e a sua volta forma altre persone per essere aiutato.

E la sezione “Sicilia doc”? 

Quest’anno abbiamo una sezione dedicata ai lavori scelti dalla direttrice artistica del CSC Costanza Quatriglio; sono 5 film che partecipano ad un piccolo concorso dentro il concorso che vede un premio riconosciuto dalla piattaforma francese Tënk, che apre quest’anno in Italia. L’apertura ufficiale viene veicolata anche attraverso il nostro festival e rappresenta una possibilità per questi giovanissimi film-makers di essere già internazionalmente riconosciuti e visibili online. Al nostro Festival si iscrivono ogni anno centinaia di film che vengono visionati da un gruppo di pre-selezionatori e da noi del direttivo; inoltre siamo una filiera gratuita e ci teniamo molto a dare la possibilità a paesi in via di sviluppo come Iran, Afghanistan e paesi del Sudamerica di accedere gratuitamente all’iscrizione.

Le è stata conferita la cittadinanza onoraria di Palermo. Che legame ha con questa città?

Sono capitata a Palermo per caso, mandata dal ministero, ma ero già stata in visita d’estate con i figli. La città è meravigliosa. Mi hanno messo a disposizione lo Spasimo dal primo   giorno, ed è impossibile non innamorarsi di un luogo così bello.Il legame con Palermo è il Festival che mi ha insegnato tanto. È una città dove si impara anche facendo i turisti. Palermo ha visto dominazioni, si è saputa confrontare e si è mescolata, arricchendosi attraverso le differenze. Visitandola, godendola, ho imparato tanto dalle tradizioni popolari, dal Museo dei Pupi, dalla cultura della persone: è una città molto colta, genericamente parlando tu hai un dialogo raffinato a tutti i livelli sociali. Quando sono arrivata 15 anni fa il quartiere della Kalsa era molto povero, abbandonato, ma oggi lo stanno restaurando e sta diventando bellissimo, una specie di isola del lusso. Vivendo e frequentando quella zona fin da subito ho imparato molto vedendo questa stratificazione sociale che non è isolata ma è un tessuto che si intreccia e che continua a creare legami. Ho approfondito tanti temi di antropologia culturale attraverso queste tradizioni popolari che sono raffinatissime e molto colte. Anche il cibo è interessante, è il risultato di tanti mondi diversi: arabo, spagnolo, francese e tanto altro. Io sono nata a Treviso, terra semplice di contadini e agricoltori, un mondo molto produttivo che ha caratteristiche e pregi ma che ha perso una sua ricchezza di tradizioni culturali in questa ricerca della produttività e del benessere. A Palermo invece la ricchezza rimane la gente, nel vissuto, il tessuto non si è sfrangiato, è rimasto coeso, interessante, non si sono persi i fili. 
Noi di Sole Luna siamo fieri di essere non profit. Io credo che la gratuità sia la vera ricchezza: il nostro progetto e l’entusiasmo che riesce a produrre in chi ne fa parte è dato da questa grande filiera di gratuità. Ognuno di noi dà qualcosa, anche chi lavora avendo un compenso da più di quello che riceve economicamente, ma riceve molto di più proprio per questo suo dare, per questo suo donare. Il mio lavoro è stato aiutato dalla mia profonda fede e dalla convinzione che seminare il bene porta bene.

Ringraziando la dottoressa Venturato per questa intervista, invitiamo i lettori a visitare il sito solelunadoc.org per conoscere i vincitori di questa edizione.

Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni – Quotidiano del Sud 10/08/2020

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