Una gran parte delle giovani generazioni è fortemente danneggiata
A darci un quadro sulle conseguenze dell’attuale situazione dei giovani, sulle loro prospettive di futuro, è la sociologa e accademica Chiara Saraceno, che ci invita a mettere i giovani al centro del Piano Nazionale di ripartenza e di Resilienza, per evitare che siano, ancora una volta, loro a pagare il prezzo più alto della crisi.
- Quali sono le conseguenze della pandemia a livello sociale sui giovani dai 18 ai 35 anni in Italia? C’è il rischio che i giovani siano sopraffatti da paure e ansie e che non possano sperimentare quella voglia di libertà tipica della loro età?
Si tratta di una fascia di età ampia, che comprende persone in fasi diverse della vita: i più giovani ancora in formazione, i più vecchi alla ricerca del lavoro o già a lavoro. Quindi sperimentano le restrizioni imposte dalla pandemia in modo diverso. Generalizzare sarebbe improprio. Quanto alle conseguenze sulle opportunità, non si tratta solo delle restrizioni alla vita sociale e al tempo libero, che pure costituiscono una dimensione importante della giovinezza. Per chi si sta affacciando nel mercato del lavoro o vi aveva messo piede da poco significa anche, spesso, una chiusura di opportunità, come era già successo con la crisi del 2008. I giovani di entrambi i sessi insieme alle donne di ogni età hanno perso il lavoro in modo molto più consistente dei maschi adulti, perché sono concentrati maggiormente nei contratti a tempo determinato, nelle partite iva più o meno fasulle. Perciò sperimentano anche una riduzione della loro autonomia economica e della possibilità di progettare il futuro.
- Cosa si può fare a livello familiare e sociale per mitigare le conseguenze negative della pandemia?
Sono due livelli molto diversi. In Italia ci si affida fin troppo alla famiglia perché faccia fronte ai bisogni più vari ben oltre la minore età. I giovani escono più tardi dalla famiglia di origine rispetto ai coetanei di altri paesi, anche perché fanno più fatica a stabilizzarsi nel mercato del lavoro e perciò godono anche di protezioni sociali più deboli. Anche il mercato dell’abitazione, fortemente sbilanciato sulla proprietà, restringe le possibilità di andare a vivere per conto proprio e aumenta la dipendenza dall’aiuto dei genitori. La pandemia ha acuito questa dipendenza ma anche le disuguaglianze, perché non tutte le famiglie hanno le stesse risorse. Ha fatto anche emergere le disuguaglianze nella rete sociale di protezione. I giovani infatti sono anche tra i meno “garantiti”. Si rischia, quindi, come è già successo nel 2008, di avere una parte consistente della giovane generazione fortemente danneggiata nelle proprie chances di vita. Per contrastare questo esito occorre che il rafforzamento delle loro opportunità, sia nel mercato del lavoro, sia a livello di formazione, venga messo a centro del Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza nel quadro del Next Generation EU. Credo che in questa prospettiva sarebbe necessario anche un grande investimento nel capitale umano delle giovani generazioni, per ridurre le disuguaglianze nelle competenze, per attrezzarle a fare fronte ai cambiamenti sia nel mercato del lavoro sia nei modelli di vita.
- Ci sono differenze tra nord e sud?
Quanto alle differenze nord-sud, è ormai noto che le opportunità per i giovani sono così scarse nel Mezzogiorno che è ripresa l’emigrazione, sia verso le regioni del centro-nord, sia verso l’estero, al punto che molti osservatori, inclusa la SVIMEZ, paventano un punto di non ritorno: se i giovani, specie i più ambiziosi e i più qualificati, se ne vanno perché non trovano nel contesto economico, sociale, politico locale sufficiente opportunità per esercitare le proprie capacità, c’è il rischio che si mini alla base la possibilità di cambiare, per mancanza di risorse umane.
- Ci sono misure specifiche che a livello politico si possono mettere in campo per supportare i giovani in questo momento difficile?
Una formazione adeguata e di qualità per metterli in grado di cogliere le opportunità della ripresa, unita a sostegno economico per quelli che hanno perso il lavoro e non hanno accesso alla NASPI o hanno esaurito il diritto, o hanno dovuto chiudere l’attività iniziata, senza lasciarli dipendenti unicamente dalle risorse e solidarietà familiare; forme di consulenza per favorirne la progettualità. Anche le imprese, le associazioni di categoria dovrebbero essere chiamate ad elaborare insieme un “piano giovani” non fatto di incentivi a perdere, ma di progetti seri.
- Durante la prima ondata molti giovani hanno rispettato le restrizioni e sfruttato i nuovi canali di comunicazione per essere, in qualche modo, protagonisti di uno sforzo collettivo. A suo parere, sarà così anche nella seconda ondata?
Penso che è così, anche se talune restrizioni incidono di più sui giovani per i quali lo sport, la socialità nel tempo libero, lo stare assieme, lo stare fuori casa e non solo o prevalentemente con i familiari, è una dimensione importante, quasi indispensabile della vita; perché nella fase della vita in cui si sta definendo la propria identità adulta la sperimentazione, il confronto orizzontale con altri, sono importanti. E non riguardano solo, e neppure soprattutto, la movida, che è stata il fenomeno su cui si sono appuntate le critiche all’irresponsabilità delle giovani generazioni quest’estate e all’inizio dell’autunno. Forse sarebbe stato opportuno responsabilizzare direttamente i più giovani, coinvolgendoli nella definizione dei meccanismi di prevenzione e dando loro l’opportunità di avere un ruolo attivo nelle azioni di contrasto e di solidarietà, per evitare che si sentano solo oggetto passivo di decisioni che passano sulle loro teste, ma incidono pesantemente sulle loro chances di vita a breve e medio termine.