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I futuri scenari dell’Industria della Moda

Photo by Brunel Johnson on Unsplash

Il settore moda rappresenta uno dei principali motori dell’economia italiana. Gli italiani, difatti, non sono secondi a nessuno per idee, innovazioni, pratiche manifatturiere, stile e quanto altro gira intorno al concetto di moda.
I big italiani nel settore moda sono 14, sui 46 totali.
L’industria della moda, nel periodo pre Covid-19,  raggiungeva il valore complessivo di 71,7 miliardi di euro e secondo uno studio di settore, svolto da Vogue Business, la pandemia globale potrebbe causare perdite fino a 40 miliardi del fatturato complessivo.
Ma, quanto costerà il Covid – 19 alla moda italiana ed internazionale?
Nelle previsioni più rosee, difatti, si parla di una leggera ripresa  solo intorno al 2022.
Nonostante i burrascosi venti di cambiamento dovuti alla pandemia, l’industria della moda vuole reagire. Difatti, un primo chiaro segnale, nella nostra Penisola è arrivato sin dall’inizio da Giorgio Armani,  il quale si è speso sin da subito, per fronteggiare la crisi pandemica, con donazioni e riconversioni industriali a carattere prettamente sanitario.
Nell’era post pandemica, quali sono, quindi, gli scenari che si prospettano?

Ludovica Rizzo, ventottenne laureata in Management, Master in gestione delle aziende del Lusso e del Design e specializzata in Marketing strategico, analizza tecnicamente i dubbi e le perplessità che ci accompagnano in questo settore.

L’e-commerce ha imposto da qualche anno anche in Italia un nuovo concetto di vendita ed acquisto di prodotti. Secondo te, tale modalità è indirizzata prettamente verso i giovani consumatori? 

I siti di e-commerce, così come i marketplace, sono canali di vendita largamente utilizzati da consumatori appartenenti alla generazione dei millennials, che comprende i nati tra il 1980 ed il 1995, nonché i più giovani della gen Z, nati dopo il 1995. Tuttavia, la diffusa accettazione di tali canali e la crescente digitalizzazione – si veda la forte accelerazione impressa dal lockdown – ha determinato, nel corso degli anni, l’utilizzo del canale online anche da parte di consumatori over 40. Per fare un esempio concreto, Farfetch (ww.farfetch.com), piattaforma di vendita di fashion e luxury brand, ha un bacino clienti costituito per il 43% da consumatori d’età compresa tra i 31 ed i 40 anni, e per il 33% da consumatori d’età compresa tra i 41 ed i 55 anni (Fonte: Farfetch IPO Prospectus, 2018).

L’online è, insomma, un canale decisamente cross-generazionale che è, e deve essere, utilizzato sempre più, al di là dello shopping, per garantire maggiore efficacia nelle azioni quotidiane ed imprimere in via definitiva una svolta digitale al nostro Paese.

Lo shopping tramite social network è la naturale evoluzione di queste app, non solo perché il fatturato di tali realtà deriva dalla pubblicità e dai servizi forniti alle aziende, ma anche perché è il consumatore stesso che tende a prediligere piattaforme in cui fruire di più servizi contemporaneamente, come fare shopping, inviare messaggi, guardare video, informarsi.

Se si osserva il caso WeChat* in Cina, appare chiaro come un social network possa evolvere in una piattaforma che offre una serie completa ed integrata di servizi, anche commerciali.

In questo senso, la possibilità di vendere online su WhatsApp e Messanger tramite la funzione Shops, annunciata lo scorso 19 maggio da Mark Zuckerberg, è forse un allineamento rispetto a quanto già sviluppato nel mercato cinese. Di certo un’ottima mossa strategica da parte di Facebook che, anche osservando l’attuale scenario economico, dichiara che Shops sarà un utile strumento per le realtà di piccole e medie dimensioni.

D’altronde il boom del canale online durante il periodo di lockdown ha permesso al consumatore finale di acquisire maggiore confidenza con gli strumenti digitali ed è per questo che è lecito attendere che, una volta che il canale offline avrà pienamente ripreso la propria attività, l’acquirente sarà ancora più esigente nel richiedere un’esperienza pienamente soddisfacente non più solo online o solo in store, ma in maniera integrata durante l’intero processo d’acquisto, dalla valutazione delle alternative alla scelta finale.

* WeChat è una piattaforma di comunicazione in cui è possibile scambiare messaggi scritti e vocali, condividere post e foto, visibili solo ai propri contatti. WeChat offre anche la possibilità di effettuare pagamenti (usando l’app come portafoglio elettronico), acquistare in modalità e-commerce, usufruire di coupon, ricevere aggiornamenti e news sotto forma di newsletter da parte degli account seguiti, previa sottoscrizione, e giocare a mini-game appositamente creati per ingaggiare l’utente [N.d.R.]

Indubbiamente, specialmente se la vendita avviene tramite i social network o, in un prossimo futuro, tramite altre app come WhatsApp che renderanno più facile creare una propria vetrina con un investimento ragionevole.

In realtà, usando una frase fatta, molto spesso si fa di necessità virtù ed è così che durante il lockdown si è assistito alla nascita di soluzioni incredibilmente creative da parte di realtà di piccole dimensioni che sono riuscite a sfruttare il potere della community e di una semplice chat per continuare a commercializzare i propri prodotti. 

Riporto un esempio che ho potuto osservare in prima persona a Milano: Pesciolini, pescheria con cucina, grazie ad un iniziale supporto di micro influencer, ha sponsorizzato su Instagram il proprio servizio di consegna a domicilio di pesce fresco ed altre specialità. In breve tempo sono stati molti gli utenti (me compresa) che hanno chiesto informazioni o “fatto la spesa” e che sono stati poi inseriti all’interno di un gruppo WhatsApp in cui veniva inviato quotidianamente un video del bancone con il pescato del giorno. Grazie a questa strategia, una pescheria con cucina che richiamava clienti principalmente nel quartiere è riuscita a farsi conoscere su più larga scala ed ora probabilmente raccoglierà i frutti derivanti dal consistente incremento di visibilità.

Al momento credo sia diffusa tra tutti noi una maggiore volontà nel cercare di spendere il giusto e magari fare acquisti con maggiore coscienziosità, ad esempio in ambito moda comprando capi di qualità migliore che durino nel tempo, quasi in ottica di investimento. Tuttavia, è pur vero che questa è forse più una speranza di spostarsi verso modelli di consumo più etici e sostenibili ma nella realtà la “fame di novità” che è stata alimentata dai grandi nomi del fast fashion ci fa ancora irrimediabilmente ricercare il capo carino ed a buon prezzo che useremo per uno o due anni e poi accantoneremo.

Con questo non intendo assolutamente demonizzare queste realtà che hanno segnato un cambiamento radicale nel nostro modo di approcciare il mondo della moda. Quello che vorrei sottolineare è quanto sia importante in questo preciso momento storico prendere coscienza di quanto le nostre azioni possano avere, pur nel nostro piccolo, un impatto sul tessuto economico locale. Provate a pensare a piccoli brand di abbigliamento, gioielli, borse o accessori nati da idee e mani italiane: se valutassimo un acquisto da queste realtà anziché andare a fare shopping da Zara quale sarebbe l’impatto che genereremmo?

Dare la possibilità al consumatore di essere parte attiva del processo creativo che porta alla nascita del capo, oggetto o bene finale è una scelta saggia per infondere valore nella propria offerta, per l’esattezza valore aggiunto. Ed a valore aggiunto corrisponde un maggior prezzo che il cliente sarà disposto a pagare.

Rimanendo in un ambito a me caro, proviamo a fare un esempio di customizzazione su un gioiello. Di bijoux ne abbiamo davvero tanti, alcuni a cui siamo affezionati di più, ad altri di meno. La variabile è il significato che vi attribuiamo: nella maggior parte dei casi potrebbe essere un valore aggiunto legato più alla persona che ci ha fatto il regalo piuttosto che all’oggetto in sé; oppure vi associamo un ricordo, un’emozione, come spesso accade con gli anelli di famiglia o quelli di fidanzamento. Proviamo ora ad immaginare di poter regalare, a noi stessi, ad un’amica/o o fidanzata/o un gioiello unico non tanto nel design quanto nel significato. Quanto valore aggiunto acquisirebbe quell’oggetto se vi potessimo incidere una data, delle iniziali o una frase?

Ecco, lo stesso criterio può essere applicato trasversalmente a varie categorie di prodotto. Se sono io consumatore finale a poter scegliere come creare, ad esempio, la mia borsa, quella borsa avrà per me un valore superiore rispetto ad una semplice shopping bag nera che alla fine hanno tutte. Perché è piccola e a tracolla come piace a me, in velluto perché mi trasmette quella sensazione che non saprei descrivere e perché è proprio di quel rosso burgundy che si sposa alla perfezione con la mia palette di colori. Poiché la desidero così intensamente, sarò disposta a pagare un po’ di più, ad aspettare qualche giorno in più per riceverla e di certo non la renderò!

La rent economy è una modalità tutta nuova di possesso dei beni. Un po’ come lo è la sharing economy per le auto o le biciclette in città, in ambito moda si sta diffondendo sempre più la tendenza a “prendere in prestito” per un breve periodo di tempo un capo o un abito, magari per un’occasione speciale come un matrimonio o una festa di laurea. Parallelamente cresce sempre più anche il mercato dei capi pre-loved e del vintage.

Questo nuovo consumo consapevole, che caratterizza in particolari i giovanissimi, potrebbe essere un’interessante prospettiva per acquistare/affittare pezzi unici o speciali a prezzi modici. Tuttavia, bisognerà comprendere quanto l’accresciuta attenzione per l’igiene impatterà sulla propensione del consumatore ad utilizzare un capo precedentemente indossato da qualcun altro.

Specialmente ora che l’emergenza sanitaria è superata, credo che le aziende debbano porre il focus sui loro prodotti principali e continuare a far battere il cuore pulsante dell’attività. Al di là di scelte di grandi multinazionali che hanno ampie disponibilità e traggono beneficio dalla riconversione a livello di immagine, le aziende di più piccole dimensioni devono assolutamente preservare la liquidità, incanalando sforzi e scelte per sostenere il proprio core business. Ogni azienda ha una responsabilità sociale prima di tutto nei confronti dei propri dipendenti e fornitori e riuscire a garantire sostegno all’intera filiera è ciò che può realmente fare la differenza in questo momento.

Le sfilate digitali non sono altro che sfilate visibili online. Dalla Fédération de la haute Couture et de la Mode francese al British Fashion Council inglese alla Camera Nazionale della Moda Italiana, tutte le principali organizzazioni responsabili del calendario ed organizzazione delle Fashion Week hanno dichiarato che le sfilate saranno visibili su piattaforme create ad hoc.

Purtroppo, i contenuti saranno fruibili solo da parte degli operatori del settore ed invitati, come da tradizione, anche se la diffusione di video, interviste e filmati avverrà su larga scala sui principali media. Forse questo impatterà sul coinvolgimento del singolo utente che, grazie a dirette, stories e post di fashion blogger ed influencer, aveva avuto la possibilità di scoprire più da vicino il magico mondo della moda. Tuttavia, la creatività regna sovrana in questo settore, quindi attendiamo di vedere quali soluzioni i nostri paladini saranno in grado di creare.

E chissà che un po’ di suspense e mistero non donino di nuovo a questo settore l’allure di un tempo, quando si attendeva trepidanti l’uscita dei magazine con l’inserto “Sfilate” per poter scoprire tutte le novità di stagione.

Credo di sì ma bisogna agire. Dal mio punto di vista, l’approccio migliore in questo momento deve essere positivo e realista. Da una parte non ci si può lasciar sopraffare da spinte negative e irrazionali, dall’altro bisogna essere pratici e concreti e comprendere quanto le scelte di ciascuno di noi siano fondamentali. Il Made in Italy è una garanzia di qualità all’estero e sicuramente con la riapertura dei confini e la progressiva stabilizzazione della situazione nei singoli Paesi riprenderanno le esportazioni. Ma per poter essere competitivi è necessario costruire o rafforzare solide radici sul territorio nazionale e locale. Si veda l’esempio della pescheria milanese, citata precedentemente, che è riuscita a farsi conoscere da un maggior numero di potenziali clienti.

Quello che io ad esempio sto concretamente cercando di fare è comprendere come valorizzare il genio e la visione di tanti giovani talenti della moda del futuro che vedono in questo momento un ostacolo per farsi conoscere ed operare.

Molte aziende hanno bloccato le assunzioni per quest’anno ed i consumatori ridurranno il budget destinato a beni non strettamente di prima necessità. Come detto prima, però, è difficile resistere all’acquisto di impulso ed è in un certo senso anche giusto gratificarsi comprando un capo che ci doni e ci faccia sentire bene dopo un periodo non facile quale è stato il lockdown.

Lancio quindi da queste righe una call per i designer del futuro! 
Se conosci un giovane talento o sei proprio tu un sarto/a, specializzato/a in particolare nella realizzazione di abiti ed accessori da donna, compila il box qui sotto per poter creare una rete di connessioni e prendere parte ad una nuova sfida!
L'idea è di innovare canale e modalità di vendita creando una passerella virtuale che accenda i riflettori sull'estro creativo offrendo a noi consumatrici easy chic quel capo dal tocco unico di cui siamo alla perenne ricerca!

Abbiamo accolto la proposta di Ludovica: scrivendo nel box che trovate di seguito sarà possibile ricevere tutte le informazioni utili per far parte del progetto.
In bocca la lupo!!

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