Ho paura dello psicologo: e tu?

Secondo un sondaggio dell’Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico) il 70% degli italiani considera inutile andare dallo psicologo. 
Caratteristica della nostra società è la resistenza granitica del “bisogna farcela da soli”, quell’errata convinzione che parlare dei propri dissidi interiori con amici e familiari sia lo stesso. Ancora più grave, è il consolidato stereotipo dello psicologo-strizzacervelli utile solo per i “pazzi”.

Noi di Venti abbiamo proposto ai nostri lettori un sondaggio per indagare le effettive conoscenze in nostro possesso riguardo al ruolo dello psicologo, all’idea che se ne ha, oggi, nella società, e – in riferimento a chi ne ha frequentato o ne frequenta attualmente uno – al rapporto che con lo stesso si instaura, con focus particolare sulle problematiche che colpiscono adolescenti e giovani in generale e la loro propensione nell’affidarsi ad uno psicoterapeuta.      
Raccolti i risultati, quest’ultimi sono stati da noi esaminati insieme ad un’esperta del settore, la Dott.ssa Federica Biasone, laureata in Psicologia presso l’Università degli Studi di Messina, prossima a iscriversi alla scuola di specializzazione in Psicoterapia. 


Dott.ssa Biasone, quando e perché ha scelto di dedicare la sua vita alla Psicologia?    
“La prima volta che ho pensato che da grande volevo fare la psicologa è stato circa all’età di 10 anni, in un’era in cui, priva delle distrazioni che un wifi illimitato concede, io divoravo libri uno dopo l’altro. Sono cresciuta imparando più cose da Hermione Granger ed Elizabeth Bennet, tanto per citarne due, che dalla maggior parte degli insegnanti che ho conosciuto nella vita, ed è stato così che ho scoperto il mondo di una psicologa infantile. Il suo nome è Torey Hayden e nei suoi libri racconta del suo lavoro nelle scuole con bambini con disturbi del comportamento negli anni in cui si affrontava il problema dell’inclusione e il panorama scientifico cominciava ad aprirsi alle nuove correnti del comportamentismo (fine anni’80). Ne rimasi affascinata.Quando è arrivato il momento di fare una scelta universitaria, l’idea di poter assomigliare a una delle mie eroine letterarie era stimolante, ed è così che io ho iniziato la mia battaglia contro il pregiudizio già tra le mura di casa mia, dove mi dicevano che dovevo fare Medicina perché come psicologa non avrei mai guadagnato bene, perché “nessuno vuole sentirsi dire che è pazzo, nessuno ha soldi da darti solo per parlare dei suoi problemi.” Sentirmi dire tutte queste cose mi ha spaventata, ma quando non sono entrata a Medicina per me è stato quasi un sollievo. E così oggi, che sono passati quasi 8 anni da quella scelta, io non ho rimpianti, anzi sono felice di aver fallito quel test, perché se la scelta che ho fatto a 18 anni aveva le caratteristiche tipiche dell’incertezza di una adolescente, negli anni e approcciandomi alla professione, in me si sono andate consolidando nuove certezze. Oggi sento fortemente l’importanza di tutelare il tesoro di cui ciascuno di noi è custode, e che merita di essere protetto, se per qualsiasi ragione si scalfisce, grazie a figure professionali che hanno studiato apposta per prendersene cura.”        


Vi è, da parte di molti ancora, ritrosia nei confronti dello psicologo e della sua funzione. Perchè?      
“Sulla base della mia ancora esigua esperienza, credo che molti dei pregiudizi siano nati a causa di svariati motivi, dando vita a stili di pensiero diversi. Ritengo – e il vostro sondaggio me ne ha dato concreta prova – che esistano i “disillusi”, persone che hanno incontrato psicologi scarsamente formati, poco empatici, figure professionali come – purtroppo – ne esistono in qualsiasi campo, solo che nel mio ambito questo sembra portare ad un’unica scelta, ovvero rinunciare alla ricerca del terapeuta migliore, coltivando e trasmettendo la propria esperienza negativa come conferma di un “avevano ragione, non serviva a niente”. Altri ancora, i “diffidenti”, che, pur riconoscendo in qualche modo la necessità di farlo, non iniziano un percorso psicoterapeutico per vergogna, paura del giudizio degli altri, timore di non riuscire a farsi capire e di non essere compresi. Sono quelli che in alcuni casi o semplicemente sperano che passi da solo, di qualsiasi cosa si tratti, oppure ricorrono all’utilizzo di una terapia fai-da-te basata sull’utilizzo di ansiolitici, il cui uso sterile ed impersonale è probabilmente considerato molto più accettabile e soprattutto più rapido come soluzione. Un’altra percentuale, invece, riguarda gli “inconsapevoli”, che attribuiscono il proprio benessere solo al soddisfacimento di esigenze che hanno poco a che fare con il proprio vissuto emotivo, persone che per qualche motivo incontrano difficoltà nel loro quotidiano ma che non pensano che andare dallo psicologo possa essere d’aiuto. Infine, un’ultima percentuale, probabilmente la più esigua, appartiene a coloro i quali pur sentendone la necessità, non hanno la possibilità economica di iniziare una terapia e per questo rinunciano, e questa è, ad oggi, una delle motivazioni che più mi fa male, perché credo che prendersi cura del proprio vissuto emotivo (ma non solo di questo, perché attenzione!!!Lo psicologo fa anche molto altro) non dovrebbe essere un privilegio per pochi, ma un diritto accessibile a tutti, in un mondo ideale magari addirittura garantito dal nostro sistema sanitario come lo è il medico di base.”

I seguenti sono i dati del nostro sondaggio. Su un campione di 238 utenti, di cui il 68,9% donne e il 31,1% uomini di età prevalentemente tra i 25 e i 35 anni (pari al 41,6% dell’utenza) e il 18,5% over 35 anni, quasi il 70% non ha mai consultato uno psicologo.

Partiamo dal dato più alto: il No. Seppur l’87,2% abbia amici o parenti in terapia, il 57,3% sostiene di non essersi mai rivolto ad uno psicologo perché “non ne ho mai sentito la necessità”, solo in pochi infatti affermano di non averne avuto il coraggio. Invero, un dato rilevante è che ancora il 18,3%, se andasse in terapia, preferirebbe tacerlo a parenti e o amici.

Qual è il dato che più la spaventa o la incuriosisce?
La prima cosa che ho notato è che il sondaggio ha avuto un discreto successo e colgo questo come un primo segnale di apertura all’argomento, considerando il fatto che ha coinvolto perlopiù giovani tra i 18 e i 35 anni, ovvero esattamente la fascia d’età alla cui opinione eravamo particolarmente interessati. La maggior parte del campione non ha mai consultato uno psicologo, nonostante questo sono stupita positivamente perché i motivi dichiarati alla base di questa scelta sono solo in parte legati a paura di sentirsi giudicato come ‘pazzo’ o ‘malato’ o mancanza di coraggio e disponibilità economica: i più, infatti, rispondono di non averne sentito mai la necessità. 

La percentuale di persone che invece afferma di aver avuto esperienza di terapia (di cui, sorprendentemente il 64,9% ha deciso in totale autonomia), o semplicemente un consulto psicologico, ha dato risposte entusiasmanti circa la propria disponibilità non solo a condividere la propria esperienza con amici e parenti senza nasconderlo, ma addirittura a consigliarla come percorso fondamentale di crescita personale e superamento di limiti e paure. Tutto ciò dà un riscontro tangibile a quella che era la mia percezione di un cambiamento in atto nella coscienza comune oggi rispetto a quando ho iniziato io il mio percorso di studi, e nonostante ancora persistano resistenze e paure non solo di cosa si potrebbe scoprire iniziando un’analisi personale ma soprattutto di cosa penserebbero gli altri di noi se lo sapessero, qualcosa sta comunque cambiando. E, si sa, il miglior modo di combattere il pregiudizio è aumentando la conoscenza e il contatto, che sia esso con figure professionali competenti e accoglienti o con racconti di esperienze positive come quelle che abbiamo raccolto.      
Un dato che mi ha particolarmente colpita e addolorata riguarda i motivi che hanno spinto al consulto: accanto ad ansia e depressione, che sono quelli che maggiormente mi aspettavo, a pari merito compare il bullismo, come testimonianza di un fenomeno ormai fortemente diffuso e proprio per questo necessariamente da combattere, con ogni mezzo e ad ogni costo. 

Il dato, però, importante è che è per lo più riconosciuta, anche da chi ancora si professa reticente o timido all’incontro con lo psicologo, l’importanza della terapia. 

Quale sarebbe, a suo parere, la soluzione?
In un panorama così composto, sento fortemente la responsabilità per me e per chi, come me, è agli inizi della professione, di rivoluzionare e valorizzare il ruolo dello psicologo/psicoterapeuta, dando voce ai molti che hanno storie positive da raccontare, persone la cui testimonianza afferma che iniziare una terapia è un “regalo”, un percorso non esente da difficoltà ma che promette un panorama migliore all’orizzonte. E’ una responsabilità ancora maggiore accogliere, invece, tutte le altre categorie di persone che hanno ancora paura, o che semplicemente sono inconsapevoli dell’importanza di prendersi cura delle proprie emozioni e del modo che abbiamo di gestirle. Penso in particolar modo a bambini e adolescenti e a quanto sia importante che vengano supportati all’interno del loro contesto familiare e che ricevano una adeguata “educazione emotiva”, scongiurando quei casi in cui, anche qualora venisse offerto loro un supporto psicologico in caso di necessità, venga fatto nel silenzio e nella colpevolizzazione del fatto stesso.

Ed infatti, a comprova di quanto appena detto, rilevano quelle che sono state identificate come le caratteristiche fondamentali che dovrebbe possedere uno psicologo secondo l’utenza media.      

           

Attestazioni importanti emergono anche dall’esperienza di alcuni utenti che anonimamente hanno spiegato da cosa nasce l’esigenza di “chiedere aiuto”, di ricorrere, ad uno psicologo. 

C’è chi dice: “Credo molto nella psicologia. Penso che nella vita tutti ne abbiano bisogno. Lo consiglio a tutti, amici e non. Nella mia vita, per un motivo o per un altro, ho frequentato parecchi studi di psicologi ed una volta anche quello dello psichiatra. Tuttavia, per me, la vera terapia è iniziata quando IO ho deciso di frequentare una psicologa. Il mio percorso è iniziato quando nella mia vita ci sono stati tanti cambiamenti e quando mi sono allontanata dalla mia “vita precedente”. I percorsi che si intraprendono in terapia di solito sono molto lunghi, ma pian piano senti dei piccoli cambiamenti dentro di te. Nonostante io sia favorevole ad affidarsi ad un esperto, mi sono sempre avvilita perchè mi aspettavo cambiamenti repentini e visibili, fuori e dentro di me. Da un po’ ho capito che cambi tu, le tue emozioni, il tuo vivere la quotidianità. E, come dice la mia psicologa, è proprio in quel momento che inizia la terapia. In questi percorsi il nemico da combattere e da conoscere è se stessi e nessuno si conosce fino in fondo. Quindi consiglio a tutti di aprire quei cassetti che tante volte lasciamo chiusi perché più facile.” 
        
Poi, qualcuno confessa: “C’è stato un momento della mia vita in cui ho capito che certi scogli mentali e alcune cose non riuscivo a gestirle da solo e che un aiuto professionale sarebbe stato certamente più d’impatto ed efficace rispetto ad altre strategie che di solito adotto. Sono molto favorevole alla crescita di questa professione e consiglio caldamente di confrontarsi con uno psicologo perché è veramente utile, se si incontra il terapeuta adatto a te. Andare dallo psicologo non è sinonimo di problemi o di fragilità, piuttosto io lo vedo come un atto di coraggio. Credo che le persone molto spesso rifiutino di averne bisogno perché convinti che non serva a molto e che certe cose si superino da soli solo perché la figura di questo specialista è affiancato ad uno stigma sociale. Ognuno la vede diversamente, ma per la mia esperienza è assolutamente utile e formativo.”

 
E chi, poi, vi si è recato non perché pieno di problemi, ma per imparare a rispondere alle proprie domande da solo: “Pur non avendo grandi problemi “esistenziali” sentivo che i consigli di amici e parenti non erano più sufficienti a trovare una risposta alle mie domande. Inizialmente ero scettico sull’effettivo giovamento che mi avrebbe dato questo nuovo percorso, proprio per il fatto che non ci fossero drammi nella mia vita. Ma poi ho capito che non serve un dramma per parlare con qualcuno anche dei problemi della quotidianità. Non tutte le sedute sono semplici, alcune più dolorose della altre e devo ammettere che qualche volta, dopo aver parlato per un’ora esco da quella stanza con un senso di stanchezza indescrivibile. Altre volte mi sento leggero come una farfalla. Però in definitiva lo consiglierei assolutamente perché uno psicoterapeuta competente non ti dà dei consigli ma ti fa parlare e ragionare e delle volte sono stesso io che ragionando ad alta voce mi rendo conto delle cazzate che sto dicendo e di quale sia effettivamente la soluzione al problema”.   

Dobbiamo accettare, quindi, che non c’è niente di cui vergognarsi nel rivolgersi ad una figura specializzata per migliorarci e liberarci da pattern psicologici ed emotivi che spesso ci impediscono di trovare una nostra serena realizzazione e di vivere in sintonia con l’ambiente che ci circonda.


La Dott.ssa Biasone ci saluta con un augurio:   
Auguro a me e ai giovani colleghi in formazione come me, di sfatare tanti di questi falsi miti, di trasmettere fortemente il messaggio secondo cui è importante vivere ogni emozione, non solo quelle positive, e che è lecito chiedere aiuto quando alcune di queste ci bloccano, viverle e vincerle, senza soffocarle. E’ un compito che mi spaventa, io stessa mi sono sempre chiesta se sarò mai abbastanza brava da fare davvero la differenza per chi avrà bisogno di me. Di recente un collega con molta più esperienza mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai: quello che importa non è essere all’altezza, perché ciò con cui veniamo a contatto quotidianamente è spesso troppo più grande di noi al punto che forse all’altezza non lo saremo mai, però ciò non significa non essere abbastanza, perché pur con tutti i limiti, anche la paura più grande non è grande al punto da non poter essere combattuta e vinta e, alla fine dei giochi, quello che importa davvero è chi era al nostro fianco durante la battaglia, chi ha combattuto ed era lì con noi. 
Dunque in un’era in cui tutto sembra transitorio, come storie che si cancellano dopo 24 ore, mi auguro di poter trasmettere un messaggio che resti e che dica a tutti che non bisogna avere paura o vergognarsi di chi siamo, di quello che proviamo o di chiedere aiuto, perché la fragilità con cui piangiamo, ci spaventiamo e ci arrabbiamo è la condizione imprescindibile su cui costruire la nostra forza, il nostro coraggio, la nostra grande bellezza.”