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Gli Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli

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Capita, persino a me, di vivere momenti di allontanamento dalla letteratura e nessuno è mai stato cupo come quello appena vissuto. Ogni mio malumore, ogni strazio del cuore e della mente si riversa nel masochistico abbandono delle mie passioni più grandi, quasi dovessi impormi punizioni per espiare ulteriori dolori. Riavvicinarmi non è mai semplice, dal momento che alcuna epurazione dal dolore giustifica un tradimento simile. C’è sempre un buon motivo per riprendere in mano i romanzi, i saggi, le raccolte di poesia, ma deve innescarsi la scintilla. Questa ha tardato a mostrarsi ai miei occhi, quasi la mia miopia avesse subito un netto peggioramento o, forse, dovessi solo aspettare il momento ed il tomo giusto. Credo fermamente che vi sia un momento adatto alla lettura di ogni romanzo, che ci consente di coglierne appieno ogni sfumatura e di trarne il giusto insegnamento o, semplicemente, di conservarne il giusto ricordo.
Questa volta, a tirarmi fuori dall’impasse ci ha pensato Marco Missiroli con il suo “Atti osceni in luogo privato”. Copertina candida, inchiostro nero a marcare lettere e contenuti.

Libero Marsell, le Grand Libero, ha dodici anni. La sua famiglia si è appena trasferita nella Ville Lumiére, sua madre tradisce suo padre e si fa strada in lui la prospettiva d’imparare ad amare.
Missiroli ci guida attraverso cinque fasi, attraverso cinque (eppure infiniti) Libero: l’infanzia, la giovinezza, la maturità, l’adultità e la nascita. Da Parigi a Milano, dall’edipico complesso attraverso cui osserva sua madre fino alla serena consapevolezza del saper dimenticare il mondo intero accanto alla sua Anna. Passando per la biblioteca Marie, custode della sua purezza, la straordinaria ed inafferrabile Lunette, l’esistenzialismo e i Deux Magots, l’osteria di Giorgio sui Navigli, la Frida immeritevole di quel nome, le trentuno tacche delle avventure che volano via in un soffio. Libero cresce pagina dopo pagina, Libero è un crescendo di avventura, ricerca del sé, dalla genuinità bambina all’oscenità del lato oscuro dell’eros, della gelosia, dell’amore che prima corrode e poi rimette a posto i pezzi, in un destino letto da carte sciorinate da mani che mi piace immaginare laccate di rosso.
Libero Marsell è Camus, è Buzzati, è una tessera del Partito Comunista, è piazza Sant’Alessandro a Milano, è un repentino cambio di rotta verso ciò che sembrava rifuggire ma si dipanerà ai suoi occhi come il solo destino possibile.

“A volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane”, scriveva Calvino ne Il Visconte dimezzato: lo cita Missiroli, subito dopo la dedica a Maddalena. E se sfuggiva un sospiro ed un palpito nell’apprestarmi alla lettura, nel voltare l’ultima pagina scappava un sorriso sornione.
L’autore riesce nella titanica quanto delicata impresa di narrare la crescita di un uomo attraverso ogni anelito di luce ed ogni cupo anfratto. L’oscenità che Libero scopre in sé stesso dapprima lo spaventa e poi lo rende, appunto, libero: da ogni artificio, da ogni convenzione. Libero di assaporare lo stupore d’esistere e vivere appieno ogni suo respiro, ogni angolo di Milano, ogni sospiro d’eros, ogni birra appena spinata, ogni impudico pensiero ed ogni boccone di dedizione.
Libero Marsell e Marco Missiroli salgono su un palcoscenico immaginario e ricevono i miei accorati applausi. Riesco persino a perdonar loro la sarcastica insinuazione che Calvino sia sopravvalutato. Certo che no, lo sapete anche voi. E questo libro merita ogni minuto dedicato alla sua lettura.
Sono poche le opere cui concedo il vanto di avermi ispirata, rianimata, scossa, risvegliata come una metropolitana Biancaneve assuefatta dalle intemperie degli anni 2015 e dalle derive emotive dei cuori devoti alla ricerca della bellezza. Per quanto possano suonare pretenziose le mie parole, credo ciecamente nell’assoluto potere della letteratura. Della buona letteratura, di cui Missiroli è portatore, con una scrittura fluida che per osmosi trasmette quanto di meglio il Novecento ha da offrire, la palpabile grazia della grandezza di cui il corpo è solo inizio, la pericolosissima e vitale attrattiva del torbido dell’animo umano. L’esatta dimensione del bello umano.
Atti osceni in luogo privato è un viaggio, che ho intrapreso con assoluta incoscienza e che ha spalancato come il vento d’estate le porte del mio animo, illuminando i nascondigli e sovvertendo le regole viscerali autoimposte. Rimettendomi al centro. Portandomi esattamente dove devo essere. Facendo sì che perdonassi il mio marciume, ne ricavassi linfa vitale da immolare sull’altare di una leggerezza ora sostenibile. Svelandomi la chiave della succosa felicità. Cos’altro avrei potuto chiedere?

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