“Il problema più grave del nostro tempo non è tra quelli che si vedono denunziati a carattere di scatola nelle prime pagine dei giornali; e non ha nulla in comune, per esempio, con il futuro status di Berlino o con l’eventualità di una guerra atomica distruggitrice di una metà del mondo. […] Un mondo semi distrutto che risorgesse domani dalle ceneri, in pochi decenni assumerebbe un volto non troppo diverso dal nostro mondo d’oggi. Anzi, virgola oggi è lo spirito di conservazione che rallenta il progresso.
[…] Ma c’è un’uccisione, quella del tempo, che non sembra possa dare frutto. Ammazzare il tempo è il problema sempre più preoccupante che si presenta all’uomo d’oggi di domani.”
Eugenio Montale da Auto da Fé. Cronache in due tempi, Il Saggiatore, Milano, 1966
Ad oggi, 12 Ottobre, risale la nascita del mio amatissimo Eugenio Montale. Montale, per me, è odore di fogli protocollo, pagine di vocabolario che scorrono, mani veloci che si affrettano a scrivere. É il mio esame di maturità, l’eccitazione di poter scrivere del mio poeta preferito.
Ricordo anche di aver pensato di scegliere un’altra traccia, temevo di non sentirmi all’altezza del mio grande, eppure non potevo sottrarmi. Avevo passato lunghi pomeriggi con mia cugina a studiare furiosamente gli appunti, a ricordarmi date e poetica di tutti gli autori studiati e alla fine.. eccolo lì: Montale era stato scelto come prova per la mia maturità e non potevo non considerare quel segno del destino, dovevo semplicemente accettarlo. Scrissi un’infinità di pagine, non saprei dire quante, perché dentro di me sentivo che avrei dovuto rendere onore al mio maestro del cuore, alle sue parole così vere e taglienti.
Montale, il poeta di Genova, degli ossi di seppia respinti e risucchiati dal mare (inizialmente intitolati “Rottami”), del correlativo oggettivo, di Esterina , Clizia, Drusilla Tanzi.
Il poeta che parla del mare come padre che impone una legge spietata ai suoi figli: riconoscere la propria limitatezza e affrontarla.
La poesia razionale, senza illusioni, volta all’impegno morale, del male di vivere che il poeta ritrova negli elementi naturali come l’acqua e la foglia.
Montale è questo, ma molto molto altro.
Non so dire perché sia così intimamente legata a quest’uomo, ai suoi versi spesso poco chiari, alla sua malinconia e alla sua sorprendente contemporaneità. Forse perché catturò la mia intenzione in un pomeriggio, ormai lontano, nello studio di mio nonno, quando molti dei libri che lui possedeva mi sembravano inaccessibili. Presi in mano una copia di Ossi di Seppia, dalla sfavillante copertina blu, e subito mi chiesi “Che diamine sono gli ossi di seppia?”
E da lì è partito il mio viaggio con Montale, un viaggio che si è snodato lungo gli anni della mia adolescenza, a tappe (alcuni miei amici, per i miei diciott’anni mi regalarono I diari del ‘71 e del ‘72), fino a culminare con l’esame di maturità. In quel tema, emozionata e tesa, misi nero su bianco tutto ciò che me era, ed è tutt’oggi, Eugenio Montale.
All’università, ad un esame sul Novecento Letterario, ebbi lo stesso timore della maturità. Speravo con tutte le mie forze che non mi venisse chiesto. Eppure, dopo un lungo preludio ungarettiano, ecco che mi viene proposto Mediterraneo. Sembra che l’essere soggetti al tempo e alle sue fasi, alla sua inevitabile ciclicità, a cui il poeta allude, si siano verificate con me. E’ stato incredibile ritrovarmi di nuovo legata a quest’uomo immenso, che non smetterò mai di portare con me.
Sono sicura che Montale sia stato, insieme ad altri, la voce del mio cuore che mi ha suggerito di intraprendere la facoltà di Lettere all’Università.
E allora, se ripenso a lui, mi rivedo seduta nel mio banco singolo, a scrivere e immaginare, a proiettarmi lontano, accompagnata e presa per mano.
Ripenso a quell’emozione mista ad eccitazione, alla mia penna che scorre senza freno.
Ripenso alle parole che si affastellano fino ad essere chiare il giorno dell’esame.
Ripenso alla mia copia di Ossi di Seppia, ormai ingiallita, con gli appunti ai margini, le sottolineature, i commenti.
Spero che Eugenio Montale continui a seguirmi, a troneggiare nelle mie librerie, a confortarmi sapendo sempre cosa dirmi.
Buon compleanno, amico mio!
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi, case, colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Eugenio Montale, Ossi di Seppia, Mondadori, Milano, 1976
NB: Risale a ieri, 11 Ottobre, la notizia che la concessione del suo loculo, come quello di Drusilla Tanzi, è scaduta da circa otto anni e che, dunque, potrebbe essere destinato all’ossario comunale.
E’ questa un’occasione, direi di fondamentale importanza, per riflettere sul trattamento e cura dei grandi post-mortem, che si traduca in questo caso in un intervento diretto e tempestivo delle autorità.
Proprio per il valore che il nostro autore (premio Nobel per la letteratura nel 1975!) ha per la cultura italiana e mondiale.