Venti Blog

L’Italia (e la musica pop) prima e dopo i Righeira

fabio-de-luca-righeira

La copertina del libro di Fabio De Luca Oh, oh, oh, oh, oh | ph: nottetempo

In libreria per nottetempo il saggio di Fabio De Luca Oh, oh, oh, oh, oh

Una sorpresa, una rivelazione, una «roba mai sentita prima»: i commenti pressoché unanimi a quarant’anni di distanza dalla pubblicazione di Vamos a la playa, il 45 giri che proiettò i Righeira nel firmamento delle stelle del pop. Tutto facile, direte voi: un inconfondibile tappeto di sintetizzatori per drizzare le orecchie degli ascoltatori fin dalle prime battute, un ritornello a presa altrettanto rapida. E quello spagnolo maccheronico che anticipò di almeno un ventennio l’onda latina che si è abbattuta – con risultati spesso e volentieri discutibili – sulla canzone italiana. Eppure, i fratelli per finta Johnson e Michael Righeira (all’anagrafe Stefano Righi e Stefano Rota) seppero trovare la giusta sintesi tra l’immediatezza della melodia e la carica d’inquietudine sprigionata dal testo, che evocava senza troppi sottintesi lo spettro di una catastrofe nucleare.

Il quarantennale di Vamos a la playa – a cui il giornalista e disc jockey Fabio De Luca ha dedicato il saggio Oh, oh, oh, oh, oh, pubblicato in primavera da nottetempo – è il punto di osservazione ideale per analizzare in retrospettiva le trasformazioni della società italiana dal 1983 a oggi. Un tornante della storia più che mai denso di significati per il nostro paese: le elezioni anticipate e l’avvicendamento al governo tra il democristiano Amintore Fanfani e il socialista Bettino Craxi, le proteste del movimento pacifista per l’installazione degli euromissili a Comiso, nel Ragusano, il lancio (in tutti i sensi) della Fiat Uno a Cape Canaveral. E poi la rivelazione Drive In su Italia 1 – appena passata sotto il controllo della Fininvest di Silvio Berlusconi; il battesimo della tv di mezzogiorno su Raiuno con Pronto, Raffaella?, la definitiva consacrazione del filone nostalgico con Sapore di mare di Carlo Vanzina. In campo musicale, infine, l’irresistibile ascesa della italo disco, un trionfo di suoni sintetici e drum machine: Gazebo, P. Lion, Ryan Paris, Diana Est.

Accostare i Righeira – il cui nome d’arte discende dalla fervida fantasia di un insegnante di Educazione fisica fissato con il futebol brasiliano – a questo filone è perlomeno temerario: Johnson e Michael Righeira hanno infatti frequentato a lungo i lidi del punk e della new wave, avvicinandosi anche alla fabbrica dei suoni dei tedeschi Kraftwerk. E non è un caso che il retroterra new wave fosse ben presente anche nella prima versione di Vamos a la playa, abbozzata nel dicembre 1981 da Johnson/Righi su una tastiera Korg in una cantina-studio di registrazione di Torino.

Nei primi mesi del 1982, un’amica comune del duo consegna il demo di Vamos a la playa ai demiurghi del pop italiano, i fratelli catanesi Carmelo e Michelangelo La Bionda. Entrambi intuiscono le potenzialità del pezzo, ma le sonorità sono troppo sbilanciate sul versante dark. Da qui un lunghissimo labor limae a Monaco di Baviera per “colorare” quella canzone, dettaglio dopo dettaglio. Fino alla sua pubblicazione alle porte dell’estate 1983. Che, curiosamente, coincide con gli obblighi di leva dei Righeira.

Come portare avanti la promozione del brano che ha immediatamente sbancato le classifiche di vendita? Dopo un’iniziale diffidenza, persino le alte uniformi dell’Esercito cavalcano l’onda del successo: come racconta Johnson in uno dei capitoli più gustosi del libro, un tenente colonnello in servizio presso la caserma “Valentino Babini” di Bellinzago Novarese prende in simpatia la recluta Righi, con cui condivide scorribande e avventure notturne in giro per l’Italia. Tuttavia, quella vita in bilico tra corvées e licenze-lampo per esibirsi (sempre e comunque in playback) in Italia e in Europa porta Johnson a un passo dall’assuefazione, con tanto di visita in ambulatorio per convincere i militari a concedergli qualche giorno in più di libertà.

Avanguardisti senza avanguardia, i Righeira provocano – sollevando non poche polemiche per un’intervista a «TV, Sorrisi e Canzoni» in cui dichiarano che Benito Mussolini faceva «tenerezza con quegli atteggiamenti da uomo forte» – spiazzano («Il passato non ci interessa perché del passato si sa già tutto»), talvolta suscitano riprovazione negli ambienti più ortodossi, che rimproverano a Johnson di aver ceduto alle sirene del mercato («Ex punk, ora venduto»). Fatto sta che hanno fatto ballare tutti – persino i più insospettabili – in quell’estate di silenziosa ma irreversibile svolta per il nostro paese, sedotto poco a poco dalla cultura dell’individualismo e del successo a tutti i costi. Prima di quella cesura, però, Vamos a la playa aveva fatto ancora in tempo a sedimentarsi nell’immaginario degli italiani, al punto che Carmelo La Bionda rimase colpito dal cartello di una saracinesca abbassata nella Milano chiusa per ferie con il titolo del tormentone che aveva contribuito a lanciare. Quando si dice: fare centro.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Exit mobile version