L’impeachment, o per usare il termine più coniato nel panorama dell’opinionismo da social media “l’impingment”, è proprio uno di quegli argomenti che, per dirla con le parole di Venditti, “fanno dei giri immensi e poi ritornano”. Peccato che lui si riferisse agli amori, mentre noi parliamo di situazioni sordide e luride come corruzione, alto tradimento e reati vari. Le solite cose che ci piacciono della nostra beneamata politica no?
Ma perché ci ritroviamo proprio oggi a parlare di impeachment?
Donald Trump ha deciso di fare la storia, e come entrare nei libri di Storia se non come il terzo presidente degli Stati Uniti a finire sotto impeachment – dopo Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998 (Nixon si dimise prima del voto)?
Cercando di fare chiarezza su questo istituto, la cui pronuncia non è stata soltanto bistrattata, ma le cui differenze rispetto ad altri istituti come il nostrano “messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica”, risulta ancora poco chiara.
Dite la verità: anche voi avete gridato “all’impingment” contro Napolitano o Mattarella.
In ogni caso, per fare una breve digressione storica, bisogna ricordare che questo istituto ha origini medievali. Più precisamente nasce nel Medioevo inglese verso la fine del regno di Edoardo III (1312-1377) ed è stato creato dal cosiddetto “Good Parliament”, nome con cui veniva chiamato il Parlamento inglese i cui membri lavorarono duramente per estirpare la corruzione, che in quel periodo attanagliava un’Inghilterra che esprimeva sempre più una tendenza parlamentarista, a dispetto di quella monarchica. Uno degli uomini di potere che il “Buon Parlamento” prese di mira fu il barone William Latimer, uno dei luogotenenti più vicini al re, dando inizio al primo caso di impeachment. Giusto per la serie “Giambattista Vico sui corsi e ricorsi storici ci aveva preso seriamente”, vale la pena ricordare che le accuse erano: l’avere venduto il castello di St. Saveur a un nemico, l’avere restituito al nemico navi catturate, dietro il pagamento di tangenti, l’avere tenuto per sé multe che avrebbero dovuto essere trasferite alla corona, avere ingannato il re, facendogli saldare prestiti inesistenti.
Sostanzialmente scomparso in Inghilterra- evolvendosi nella tradizionale responsabilità ministeriale- l’istituto approda definitivamente negli Stati Uniti d’America con una disciplina assolutamente unica ed originale contenuta nell’art. II, sez IV, della Costituzione Americana.
Cercando di essere il più chiari possibile, è bene definire da principio che nei fatti l’impeachment è una procedura che si colloca in una posizione intermedia tra la responsabilità politica e giuridica vera e propria. Anzitutto, per quanto riguarda i soggetti passivi dell’impeachment, coloro che cioè possono subire il procedimento, essi sono tutti i componenti del potere esecutivo, dal presidente al vicepresidente sino ai funzionari delle amministrazioni statali, e i giudici, in qualità di membri delle giurisdizioni federali. Dunque, un ventaglio di soggetti molto ampio. Mentre per quanto riguarda gli illeciti sanzionabili, la Costituzione Americana sembrerebbe dare una coloritura fortemente penalistica all’intera procedura: la Camera Dei Rappresentanti ha il potere di messa in stato di accusa (impeachment) del Presidente e di ogni altro funzionario federale, imputandoli di “tradimento (treason), corruzione (bribery) e di altri gravi crimini e misfatti (high crimes and misdemeanours)”.
Al di là delle controversie interpretative dovute al carattere estremamente generico della terminologia utilizzata dalla Costituzione Americana, il carattere penalistico della responsabilità risulterebbe a questo punto evidente. Sennonché, osservando più attentamente la procedura, il promotore del procedimento è la Camera dei Rappresentanti, che hai il compito di discutere i presupposti dell’accusa ed eventualmente sollevarla (con voto a maggioranza semplice dei presenti); e chi sarà a giudicare della commissione di tali reati? Il Senato investito del ruolo di giudice che potrà condannare con voto a maggioranza dei due terzi dei presenti. L’unico elemento giurisdizionale, che cioè vede la presenza di organo non politico e giudiziale, lo abbiamo quando alla procedura vi è sottoposto è il presidente degli Stati Uniti, in questo caso presiederà il Senato il Presidente della Corte suprema.
E questa condanna quali sanzioni può comportare?
La rimozione o destituzione dalla carica (removal from office) e l’interdizione dai pubblici uffici (disqualification). Cioè in breve, sanzioni di carattere perlopiù politico, non giuridico. Fermo restando che il Presidente può essere sottoposto parallelamente a procedimento della giustizia ordinaria per gli stessi fatti per i quali risulta imputato nel procedimento d’impeachment. Ed è solo in questa sede che potranno essergli irrogate le opportune sanzioni giuridiche di carattere penale.
In conclusione: abbiamo un istituto ibrido tra la responsabilità politica e giuridica, invocabile contro più soggetti appartenenti all’esecutivo, sulla base di capi d’imputazione a carattere penale, attraverso un procedimento svolto sulla base di regole e procedure di carattere politico da parte di organi altresì politici, che può comportare l’emanazione di sanzioni politiche.
E in Italia? Come funziona il procedimento di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica?
È bene precisare che il procedimento in questione è piuttosto lungo e farraginoso, non a caso non è semplicemente disciplinato dalla Costituzione che all’articolo 90 di limita a stabilire che “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”. Ma la disciplina è integrata da diverse leggi costituzionali e che non si sono susseguite nel tempo. Cominciamo col dire che il procedimento può coinvolgere soltanto il Presidente Della Repubblica, cioè un potere tendenzialmente “neutro” e garante dell’unità nazionale. Dunque, in questo caso, la messa in stato d’accusa non viene esercitata per far valere una responsabilità penale-politica dell’esecutivo complessivamente considerato. Inoltre, sono soltanto due i capi di imputazione per cui è possibile attivare il procedimento: alto tradimento, ossia il comportamento del Capo dello Stato che agisca contro gli interessi della nazione a livello internazionale (es. collaborazione con Stato nemico); attentato alla costituzione, ossia un comportamento volto a sovvertire le supreme istituzioni dello stato, detto in altri termini: colpo di Stato.
Il procedimento, in breve:
Le denunce di alto tradimento o attentato alla Costituzione nei confronti del presidente della Repubblica vengono presentate, dopo un complesso iter all’interno della Camera, al Parlamento in seduta comune (ossia alle due camere in riunione congiunta). La deliberazione di messa in stato di accusa è adottata a maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento in seduta comune.
In caso di approvazione, l’atto viene trasmesso alla Corte Costituzionale, non prima dell’elezione di uno o più commissari per sostenere l’accusa. Nei giudizi d’accusa intervengono, oltre ai giudici ordinari della corte, sedici membri (i cosiddetti giudici aggregati) estratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore (40 anni), che il parlamento compila ogni nove anni.
Dopo le apposite indagini viene formato un collegio giudicante, composto da almeno 21 giudici, in cui i giudici aggregati devono essere la maggioranza. Per ogni accusa viene formulata una apposita sentenza su cui i membri votano. Tale sentenza non comporta soltanto una sanzione di tipo politico, ossia la destituzione dalla carica, ma altresì sanzioni di tipo penale: l’art. 15 della legge costituzionale n. 1 del 1953 stabilisce infatti che “nel pronunciare sentenza di condanna, determina le sanzioni penali nei limiti del massimo di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto, nonché le sanzioni costituzionali, amministrative e civili adeguate al fatto.”
In conclusione: ci troviamo di fronte ad uno strumento per far valere la responsabilità giuridica di un solo soggetto precisamente individuato: il Presidente Della Repubblica, sulla base di capi d’imputazione di carattere penale estremamente gravi. Attraverso un procedimento svolto sulla base di regole e procedure che solo in un primo momento, quella della promozione della messa in stato d’accusa, vede l’intervento di un organo politico, ma con modalità e procedure tutt’altro che discrezionali, per poi affidare il giudizio nelle mani di organo giurisdizionale che decide attraverso una vera e propria sentenza la quale può portare all’irrogazione di sanzioni di carattere anzitutto penali, oltre che civili, amministrative, costituzionali, e poi in un secondo momento politiche.
Ad un esame attento della questione, quindi, parlare di impingment/impeachment con riferimento alla procedura italiana di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica risulta improprio e fuorviante.
Inoltre, proprio per la sua gravosità, che probabilmente supera i poteri e le competenze del Presidente della Repubblica – a parere del sottoscritto, è un po’ come dire che un pesce rosso sia penalmente condannabile solo nel caso in cui questo invada la Polonia – non vi sono stati mai casi effettivi di ricorso alla succitata procedura. Questo rischio è stato solo lontanamente corso in tre casi nella storia della nostra Repubblica, senza che però a bandi e proclami abbia fatto seguito un reale e concreto esercizio dell’istituto. Non è dunque probabile che questo istituto troverà mai spazio – e per fortuna – nella già sciagurata storia della nostra Repubblica presente e a venire.