Venti Blog

Dottorato, l’esperienza di Emilia Bevacqua

La dottoranda Emilia Bevacqua che lavora attualmente presso il laboratorio di “Biochimica e Biologia Molecolare” del Dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e della Nutrizione dell’Università della Calabria è a capo di un progetto ambizioso: l’identificazione di nuovi biomarker tumorali nella diagnosi del carcinoma prostatico che potrebbero migliorare la diagnosi, la prognosi e la terapia di questa insidiosa neoplasia.

Perché è importante riconoscere preventivamente le varie forme di tumore prostatico?

Riconoscere preventivamente le forme di tumore, prostatico e non solo, aiuterebbe nella terapia evitando dei trattamenti invasivi come le esportazioni radicali. In questo caso l’attenzione è stata posta sull’utilizzo di microRna che rappresentano una nuova frontiera, una nuova importante classe di marcatori tumorali. Diversi studi sono riportati in letteratura ed indicano questi microRna in grado di agire sia come oncogeni (in grado di indurre il tumore) e sia come oncosopressori (cioè in grado di sopprimerlo). Grazie a questa loro duplice attività noi possiamo andare a regolarli e a controllarli in funzione dell’attività che svolgono.

Come potrà cambiare in futuro lo screening per il carcinoma prostatico?

L’obiettivo del nostro progetto è quello di trovare in tempo l’insorgenza della malattia e di conseguenza fare una diagnosi che possa rallentare o evitare completamente la progressione tumorale. La diagnosi può essere fatta anche grazie a questi microRna che essendo delle molecole molto piccole si possono dosare nei fluidi biologici, ad esempio nel plasma, per avere successivamente una diagnosi eventuale di carcinoma. Quindi facendo delle analisi specifiche, dosando i microRna nel sangue o in altri fluidi biologici si può riconoscere la presenza o meno. Per il momento sono studi preliminari fatti in vitro e ci vorrà ancora tempo per l’analisi in vivo sul paziente e per verificarne l’effettiva efficacia ma mi è stata data la possibilità di continuare nella ricerca grazie alla borsa di studio della Fondazione “Lilli Funaro”. Il tempo è ancora lungo ma ci auguriamo delle belle aspettative.

Considerando la tua esperienza di dottorato all’Unical consiglieresti ad uno studente appena laureato di intraprendere la strada della ricerca?

Bisogna premettere che la ricerca al sud è piuttosto lenta a causa dei fondi ed io sto facendo questi tre anni di dottorato giunti ormai al termine, senza borsa di studio e quindi senza ricevere finanziamenti. Il dottorato prevede infatti dei posti con la borsa di studio e dei posti senza ed io ho ottenuto uno di questi ultimi ma l’ho accettato senza dubitare, e tornassi indietro rifarei la mia scelta. Infatti per quanto la ricerca qui al sud risulta più difficile e a volte rallentata, e nonostante il percorso è faticoso e non dà tutti i giorni dei risultati – per fare un esperimento ci vogliono settimane o addirittura mesi – ci sono quei piccoli momenti all’interno di questi tre anni che hanno dato delle soddisfazioni così grandi da ricompensare tutti i giorni passati nel laboratorio dalla mattina alla sera. Quindi questa esperienza la consiglierei a chi ha la passione in questo ambito perché non è semplice e bisogna avere la passione e la pazienza per affrontare giornate interminabili dove sai quando inizi ma non quando finisci.

Nel campo della ricerca è importante confrontarsi con realtà anche al di fuori dei confini nazionali. Com’è organizzata l’Università della Calabria in questo senso?

Da questo punto di vista l’Unical è un campus all’avanguardia che ha contatti di collaborazione con diverse università a livello europeo e non solo. Fare ricerca all’estero può sicuramente essere un’opportunità in più per arricchire il proprio bagaglio culturale, per crearsi contatti e confrontarsi con persone con cui puoi condividere e scambiare idee. Purtroppo a causa dell’emergenza epidemiologica non sono riuscita ad andare all’estero e questo è l’unico rimpianto che ho avuto lungo questo percorso di dottorato. Tuttavia l’Unical per dare a noi studenti qualche chance in più per fare esperienza con università estere ha messo a disposizione dei periodi di Erasmus in modalità online che hanno permesso di confrontarci, seppur in maniera limitata.

Nonostante le difficoltà e la lunghezza del percorso, le soddisfazioni non sono mancate grazie al premio della Fondazione “Lilli Funaro” come miglior progetto di ricerca oncologica. Quali obiettivi hai nel futuro prossimo?

Questo premio è stato davvero inaspettato perché è un convegno a cui hanno partecipato in tanti e quando hanno detto il mio nome sono rimasta di stucco. A volte non crediamo mai abbastanza in noi stessi e abbiamo bisogno anche di gratificazioni per andare avanti. Quindi sicuramente il riconoscimento mi ha dato ancora di più la motivazione e la forza per perseguire questa strada e pormi nuovi obiettivi. Spero di continuare anche in futuro e mi auguro di trovare qualcosa in questo ambiente non appena terminerò questa esperienza.


Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni

Exit mobile version