Il 6 Aprile segna l’anniversario della scomparsa di Mickey Rooney, attore e comico statunitense da molti di noi ricordato per il suo ruolo come Mr. Yunioshi in Colazione da Tiffany, il capolavoro del 1961 di Blake Edwards. Proprio questo ruolo, oggetto di critiche e analisi sociali, è un ottimo spunto per analizzare la rappresentazione asiatica in film e serie TV statunitensi.
È chiaro che vi siano stati dei miglioramenti dal punto di vista della rappresentazione, la quale è stata per anni soggetta ad un filtro razzista, retaggio del passato colonizzatore degli Stati Uniti. Questo filtro, oltre ad essere sociologicamente ed etnicamente problematico, è causa anche di una rappresentazione falsata dei personaggi asiatici, i quali diventano quasi macchiette in balia dei registi statunitensi.
Sebbene sia impossibile negare che anche il nostro paese abbia avuto il suo ruolo nella rappresentazione falsata dei personaggi asiatici (si pensi al cinema muto e all’orientalismo coreutico, dove la danza assume tratti sensuali e allegorici), gli Stati Uniti hanno di sicuro un primato in questo ambito. Tornando al nostro Mr. Yunioshi, è chiaro che il personaggio è una caricatura nonché uno dei primi casi di yellow face, ovvero una persona non di origini asiatiche che impersona una persona di origini asiatiche. Hollywood sembrerebbe ricadere ancora in questo trope di tanto in tanto, basti pensare all’adattamento per il grande schermo del romanzo di David Mitchell “Cloud Atlas”, che propone una serie di attori non-asiatici che rappresentano personaggi asiatici, specialmente nella sezione coreana della storia. Questa rosa di attori non-asiatici fa quasi scomparire Bae Doo-na, attrice estremamente famosa sia in Corea del Sud che all’estero per i suoi ruoli in drama, serie TV e film quali, appunto, “Cloud Atlas” e “Sense8”.
Come accennato all’inizio, sembrerebbero esserci comunque degli sprazzi positivi per quanto riguarda la rappresentazione sul grande e piccolo schermo. La Marvel sembrerebbe rappresentare, in alcuni casi, un precedente positivo da questo punto di vista. Infatti, in “Avengers: Age of Ultron” la dottoressa coreana Helen Cho è interpretata da Kim Soo-hyun, attrice e modella sudcoreana nota all’estero come Claudia Kim (che forse alcuni di noi ricorderanno anche come Nagini in “Animali fantastici – I crimini di Grindelwald”. Potrebbe sorprendere quindi la scelta di Tilda Swinton in “Doctor Strange” nel ruolo dell’Antico, ma Scott Derrickson ha spiegato che la scelta è stata fatta proprio per evitare di portare sul grande schermo una rappresentazione razzista di un personaggio Tibetano.
La presenza di personaggi o attori coreani in film e serie TV sembrerebbe rappresentare comunque un trend da qualche anno a questa parte, iniziando con i ruoli di Lane Kim in “Una Mamma per Amica” (sebbene l’attrice sia giapponese e non coreana), passando per marito e moglie in “Lost” fino a Cristina Yang in “Grey’s Anatomy”.
È interessante vedere comunque come la rappresentazione asiatica si è evoluta negli anni e come, in generale, il pubblico internazionale sia gradualmente arrivato ad amare personaggi, attori e persino film e serie TV di origini asiatiche. Anime, drama, serie TV e film asiatici hanno adesso molta più visibilità e audience di quanta ne potessero avere in passato. Quale sia il motivo, il risultato è il fenomeno “Parasite”. Inizialmente criticato per non essere in lingua inglese e per costringere gli spettatori a leggere i sottotitoli (i nerd sbeffeggiano la critica pensando agli anni passati guardando anime), “Parasite” di Bong Joon Ho ha raggiunto una popolarità tale da vincere l’Oscar, in una vera e propria rivincita degli emarginati.
La strada da percorrere per evitare il ripetersi di casi di yellow face sembra ancora lunga, ma ci sono dei validi esempi che possono fungere da precedenti positivi per evitare caricature e razzismo. Speriamo che il fenomeno “Parasite” aiuti in quella direzione.