Con il progredire di internet e delle sue potenzialità, l’essere umano ha preso possesso di ogni angolo, ricreando al suo interno una società civile parallela a quella “reale, priva tuttavia delle regole e restrizioni proprie del “mondo reale”. Ignorando l’espansione di questo territorio e i tentativi di colonizzarlo, la giurisprudenza italiana si è mossa molto tardi in merito, costringendo aziende private a fare il lavoro di mediazione, gestione e in molti casi il lavoro delle stesse forze dell’ordine per regolare le interazioni che si creavano al suo interno.
La categoria più a rischio in questa terra ancora parzialmente selvaggia è, ovviamente, quella dei giovanissimi, cresciuti fin da infanti a contatto con questa realtà, non hanno vissuto la separazione netta e la nascita del fenomeno come i millenial. Sembra, infatti, che la più grande minaccia del web, soprattutto sui social network, sia il cyberbullismo, che rappresenta un problema al punto da imporre l’entrata in vigore di una nuova legge che si occupasse del fenomeno: nel 2017 la pubblicazione del testo di legge ha reso manifesta l’intenzione di voler tutelare soprattutto le nuove generazioni e quindi i minori, fornendo al contempo le linee guida ideali per permettere a educatori e pedagoghi di gestire il fenomeno adeguatamente.
La norma ha dato per la prima volta una definizione giuridica del cyberbullismo, descrivendolo come qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica. Nella definizione rientra anche la diffusione di materiale sensibile delle vittime, mostrando di voler regolare anche il fenomeno del revenge porn, che negli ultimi anni ha avuto importanza focale anche nella cronaca nera- si pensi alla vicenda di Tiziana Cantone.
Come per diverse tematiche, però, la legislazione italiana sembra essere sempre un passo indietro rispetto agli eventi, incapace di stare al passo con la velocità imposta da una società che grazie a internet vive continui e profondi cambiamenti. La diffusione del fenomeno del cyberbullismo è preoccupante, lo fa notare la ricerca condotta dall’Osservatorio della no profit “Social Warning – Movimento Etico Digitale” fondata dal ventiquattrenne Davide Dal Maso, secondo cui quattro ragazzi su dieci, tra i dodici e i sedici anni, si imbattono in episodi di cyberbullismo, soprattutto usando i social media.
La ricerca, condotta alla vigilia della giornata nazionale contro il cyberbullismo-e alla sua seconda edizione, condotta dall’Osservatorio scientifico della no-profit “Social Warning – Movimento Etico Digitale” che nel 2019 ha formato 17mila studenti e 4mila genitori rispetto ai rischi e alle opportunità del web- vuole sensibilizzare sul tema concentrandosi su un aspetto che neanche la norma del 2017 sembra aver affrontato correttamente, ossia progettando di procedere verso una ri-educazione degli educatori sul tema dei fenomeni del web, limita fortemente il raggio d’azione. Non sempre un insegnante si prende la responsabilità di intervenire secondo le linee guida del ministero, né è forzato a occuparsene in caso percepisca o venga a sapere di comportamenti illeciti. Inoltre, vengono lasciati fuori dal quadro i genitori, responsabili allo stesso modo, fin dalla prima fase della vita del minore, della regolamentazione dell’approccio dello stesso al mondo di internet e dei social media. Davide Dal Maso, primo docente a essersi interessato all’argomento e a parlare della cosidetta educazione digitale in classe, ritiene che sia “Sempre più necessario costruire un ponte tra genitori analogici e figli digitali per arrivare ad un sano equilibrio tra vita on-line e off-line.”
Appurato che, secondo lo studio dell’Osservatorio, una considerevole fetta di ragazzi dai dodici ai sedici anni passa fino a quattro ore al giorno sul web- circa il 32% degli intervistati- urge che anche dalla famiglia stessa vengano imposte delle regole e limitazioni nell’uso dei social. Il 47% ha anche dichiarato di non essersi mai confrontato con la famiglia sui temi dell’educazione al digitale. E un ragazzo su dieci non ha mai affrontato l’argomento con nessuno.
Il gap generazionale, in questo modo, rischia di allargarsi e rendere evidente l’impossibilità delle vecchie generazioni di educare i figli secondo le nuove sfide che la vita contemporanea gli pone davanti.
Un altro dato interessante che emerge dallo studio è, infatti, che i ragazzi dimostrano di aver sviluppato un’immunità migliore e più efficace per le fake news e le truffe della rete, ponendoli nella sbilanciata condizione di dover loro stessi educare i loro educatori sulle insidie del mondo virtuale, cosa che per quanto mostri che la società si sta evolvendo nel senso giusto, impone che i ragazzi siano lasciati soli e privi di guida ai rischi del web, ignari in parte dei pericoli ma soprattutto dei mezzi con cui possono tutelarsi e regolamentare le interazioni.
I nuovi educatori non possono, quindi, adagiarsi sul metodo Montessori, ma continuare a studiare e aggiornarsi costantemente per guadagnarsi il loro ruolo e mantenerlo mentre il mondo si evolve e cambia un megabyte per volta.