Cyberbullismo 1/2: chi è la vittima

Siamo a ormai vent’anni dall’inizio del nuovo millennio e se decidessimo di voltarci per guardare il percorso effettuato, ci sentiremmo a disagio nel non trovare il cursore di Google Maps ad indicarci il percorso più breve per raggiungere la nostra destinazione. Ed è così che la realtà di ogni giorno ha cambiato veste, passando da un normale modo di vivere ad una irrefrenabile voglia di inserire la tecnologia nelle nostre vite, finanche nelle nostre relazioni.

Il web fruisce informazioni, nozioni, definizioni, ma interrompe la vera comunicazione e riduce la possibilità di filtrare le intenzioni che albergano nella mente dell’utilizzatore stesso. Lo schermo diviene il “nuovo” viso dell’interlocutore e le lettere della tastiera il nostro nuovo modo di parlare, così da rendere immune l’user a critiche o a sentimenti che possano mostrare la propria insicurezza. Ogni sentimento o intenzione viene bypassato attraverso un led, che non permette l’analisi corretta della persona che si connette dall’altra parte.

Se la chiamata vocale permette l’analisi della voce e uno studio abbastanza corretto degli intenti, pur mancando il senso della vista, il cyberspace crea un muro relazionale che fa passare inosservate le emozioni di chi sta parlando. Se da un lato ci si riesce a connettere in maniera molto veloce, il senso di legame perde peso e l’opinione, negativa o positiva, prende piede con una forza interpretativa nettamente maggiore.

Questo può accadere. Ogni azione, effettuata per mezzo di un tool come questo, può determinare delle gravi e irreparabili azioni, con delle conseguenze ancor più difficili da superare. Nasce così quella forma di violenza che ad oggi chiamiamo cyberbullismo, una piaga creatasi in un misto di insicurezze e false certezze. Non importa chi sia la vittima o il carnefice; sicuramente, in entrambi i casi, la strada, sarà difficile da affrontare.

Essere vittime di bullismo, giornalmente a scuola, è qualcosa che nel suo essere riprovevole, trova una minima sicurezza, se esplicata nel migliore dei modi, nelle figure dei docenti, i quali dovrebbero tentare, insieme ai genitori ed all’aiuto di specialisti, di riportare la situazione ad una calma almeno apparente. Ma con il cyberbullismo, materia in cui i limiti sono nebulosi, non esiste genitore o docente pronto a mettersi in difesa della vittima.

“Adesso mi vedo così”. Questo è ciò che ci si ripete, riportando e rendendo reali le parole che vengono scritte su un social e che poi vengono rese pubbliche, per mero divertimento personale o forse per una voglia di apparire che riesce solo al di là di una tastiera. Il leone da tastiera, per l’appunto, si inorgoglisce, facendo delle critiche nei confronti dell’altro, dimenticandosi dell’accaduto in meno tempo di quanto ci si possa immaginare. L’iter segue degli step precisi: nasce una fiducia nei confronti dell’altro dovuta a quella stessa mancanza di connessione fisica suddetta; ci si dimentica dei limiti e ci si lascia ingoiare dalla morsa di chi attacca; infine, arriva quel momento in cui si deve scegliere se riprendere le redini della propria vita o lasciarsi andare.

La vittima, purtroppo però, non dimentica.

Ogni limite viene visto con l’occhio sbagliato da chi ha solo voglia di far soffrire e non percepisce realmente la voglia di vivere che risiede nell’altro. Non importa che tu sia di un colore differente, di un’altra nazione, se dovessi essere portatore di handicap, omosessuale o di una religione sconosciuta: ci si sente feriti; ed in quanto tale, si tenta di risalire su e sentirsi accettato, per ciò che si è o se non ne se ne ha il coraggio, mentendo su chi realmente si sarebbe voluto essere.

Il 53% della giovane popolazione italiana, oggi, dai 15 ai 24 anni, è stata affetta, almeno una volta, da cyberbullismo. In quel 53% si possono trovare amici, fratelli, sorelle, fidanzati, conoscenti, ma nessuno di voi/noi, alcune volte, riesce ad accorgersi di quanto si nascondano bene i sentimenti negativi, che alcune volte, casi alla mano, hanno portato a conseguenze definitive, senza che una vera e propria scelta potesse essere effettuata.

“Non auguro a nessuno di essere vittime. Non auguro a nessuno di guardarsi allo specchio e pensare che sarebbe meglio sparire dalla faccia della terra. Non auguro a nessuno il non riuscire a dormire per settimane, ma soprattutto non auguro a nessuno di avere il coraggio di essere il carceriere, colui che di quelle sbarre ne fa arma per difendersi dai mulini a vento. Sono un ragazzo omosessuale di 28 anni che ha vissuto nella paura dell’altro per troppo tempo. La vita mi ha donato tanto: una famiglia che mi ama, degli amici che gioiscono della mia presenza, un compagno che mi guarda con gli stessi occhi dal primo giorno. Ma quella stessa vita l’ho dovuta conquistare prima ancora che mi venisse chiesto il permesso di utilizzarla in modo diverso, spinto dalle battute sui social, dalle mie foto inviate senza il mio permesso o dalla condivisone della mia vita con destinatari incorretti. Ho sofferto. Pensato anche di non avere abbastanza per godere del diritto a questa vita. Ma sono qui, aiutato per tanto tempo, ma soprattutto, in tempo per vivere”.

Sono parole che condivido ancora con difficoltà, ma con la voglia di ricordare a chi si trova nella stessa situazione, che esiste una soluzione:

-la famiglia: il più vicino mezzo di difesa in queste situazioni cosi difficili. La condivisione, secondo alcuni studi, è il primo passo per una ripresa personale;

-consultazione psicologica: lo psicologo è il giusto professionista che può aiutarvi a fare un passo avanti nel vostro cammino di superamento di una situazione così difficile;

– la denuncia: le forze dell’ordine hanno le giuste competenze per accompagnarvi in questo iter di ingiustizie dal punto di vista legale;

-le associazioni di riferimento: utilizzate nuovamente quel web per ricercare la vostra tranquillità ed il vostro sostegno in chi come voi ha vissuto la stessa situazione;

Non si nasce sbagliati, ma si nasce giusti per se stessi. E’ ciò che conta.