Del #FertilityDay hanno parlato tutti e ci sarebbe poco da aggiungere. La sintesi stringatissima è che il Ministero della Salute ha inventato una giornata ashtagghizzata da dedicare alla fertilità. Un’iniziativa piuttosto littoria, che si traveste da sbarazzina grazie all’uso, affatto provinciale, dello slogan in inglese. È vero che la Y fa figo, ne faccio un uso spiritoso anche io, nei messaggi privati (a volte scrivo Che noya e mi diverto molto), ma a meno che non sia un product placement per i cromosomi, e in quel caso tanto di cappello, l’inglese cambia poco: se fai nevicare una julienne di Topinambur sulla trippa sempre trippa rimane. A proposito dell’iniziativa, a parte quello che è già stato detto, ci sono pochi aggiornamenti: ad oggi so che non revocheranno, ma sono pronti a “rivedere” le réclame. È vero che si fanno pochi figli, ed è vero che si fanno tardi (in genere intorno alle 22.30), ma sulle pubblicità non ci sono scusanti: si possono pensare e creare molto meglio. Quindi, alcuni consigli:
Esistono bei programmi di grafica, anche gratuiti, e giovani fotografi intuitivi e con un buon senso della metafora. O che magari non hanno fretta, ecco. Nel senso che, se senti forte la necessità di far passare l’idea del ticchettio dell’orologio biologico come un’emergenza nazionale, la clessidra e la mano sulla pancia non sono il massimo. La canzone storica dei Monty Python, Every Sperm is Sacred, per dire, sarebbe efficacissima. O Benjamin Button da vecchio, cioè da bambino, perché, no. Ma non si può, lo so, per il caso contemplato nel consiglio numero 2.
Benjamin Button è un uomo, e voi non avete usato attori maschi. Ma giuro che ne esistono. Se a Roma è difficile trovarne, il mio amico Armando, da ottobre di stanza a Milano, è bravo e prestante. Ottimo per il ruolo di padre, per esempio, o di compagno, o di marito. Nelle coppie ce ne sono ancora, a volte anche loro desiderano dei figli, sebbene il cliché (che non è come la consuetudine costituzionale, lascio il collegamento ipertestuale per disambiguare) ci voglia tutti refrattari all’impegno.
Il tono invogliante da vecchia zia o da collega guascone non ottiene, a mio avviso, l’effetto sperato. Immaginate la pubblicità di un costoso profumo, facciamo Kenzo World che adesso va di moda, con uno slogan del tipo “Dai, compralo, altrimenti puzzi!”. A parte che non puzziamo mica tutti, quindi stai calmino, e poi costa soldi, non puoi spingermi a comprarlo puntando tutto sul mio senso di colpa (o di puzza, in questo caso). Mi devi sedurre. Per dire No alle pellicce, la PETA ha fatto la pubblicità con le attrici nude, roba che Snoop Dogg potrebbe persino buttare il visone, mentre il Ministero della Salute, per incentivare la procreazione, propone due palme dei piedi incagliate tra le lenzuola e una ragazza con la faccia da “Mannaggia!” che si tiene la pancia all’altezza del colon. Che voglia, amici.
Infine. Per la prossima volta, è bene che prevediate una cosa: la gente ormai si arrabbia tanto e di frequente, quindi siate all’altezza. Il profumo di Kenzo è un prodotto che esce fuori da un’azienda privata. Se, per dire, Kenzo facesse un profumo alla pesca, mia madre che è allergica non potrebbe usarlo. E tanto piacere, non lo compra. Non si sentirebbe mica discriminata. Voi, che siete Ministero, per non correre il rischio dovreste prevedere una cartolina che rappresenti chi non si sente rappresentato, magari in bianco. Se invece vi sentite coraggiosi, esiste anche il silenzio. Per quello consiglio il color oro.