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CLASHING CULTURES: la mia esperienza in Cina

Di Giovanna Cataldo

Il 31 gennaio è arrivato in un batter d’occhio. Fine del mio semestre Erasmus in Olanda. Ho amato questo paese e sarà sempre casa mia: la cultura rilassata e easy-going degli olandesi è diventata la mia, come anche quella delle persone che ho incontrato. Sono diventata davvero una cittadina del mondo, ho imparato a capire punti di vista diversi, e sono cresciuta. So che ho trovato degli amici preziosi, che quando ci rivedremo sarà sempre come se non ci fossimo mai lasciati.

Tutte queste cose mi hanno spinta a cercare uno stage che mi desse la possibilità di esplorare un posto nuovo. Sono diventata assuefatta all’essere esposta ad un contesto internazionale, a conoscere sempre persone nuove, luoghi nuovi. Consapevole del fatto che comunque non sarebbe stata la stessa cosa, ho fatto application in posti anche più lontani, mi sono detta perché no? anche la Cina – paese che, se posso essere sincera, non mi ha mai affascinato particolarmente, se non per il suo ruolo nel mondo.

Volevo comunque mettermi alla prova, per davvero questa volta. Spingere la tacca ancora più in là. E sono stata accontentata: la mia destinazione è diventata Shanghai. Con qualche dubbio ho accettato; è lì che avrei vissuto per i prossimi tre mesi. Ero un po’ dubbiosa, ma avevo anche una certa sicurezza: il cielo sopra di me sarebbe stato comunque lo stesso, e poi “Shanghai non è davvero Cina”, è una “città internazionale”, “parlano tutti inglese”. Questo era quello che continuavano a dirmi tutti.

Il primo contatto con la realtà l’ho avuto quando ero in fila al gate: stavo andando in Cina per davvero!
Ovviamente appena arrivata ho scoperto che l’inglese lo parlano in pochi, e anche in modo abbastanza incomprensibile. I primi giorni mi continuavo a ripetere “Oddio cosa ho fatto!” “Oddio sono in Cina!” “Nessuno parla inglese!

Ma dopo il primo momento di shock, ho capito che questo è il banco di prova: sarei riuscita ad adattarmi a questa cultura così diversa? Essere in stage poi è totalmente diverso che essere in scambio: il tempo non è autogestito, e puoi davvero contare solo su te stesso, non c’è nessuno che ti organizza la “Orientation week” o che ti dice come fare. Però anche qui sono stata fortunata e sul mio cammino ho incontrato le persone giuste, che mi stanno supportando e in un certo senso sopportando.


La Cina è un mondo a parte, le abitudini sono così diverse. Ai miei occhi è il paese delle contraddizioni: da un lato l’economia che corre, le gru che fanno parte dello skyline
perché si continua a costruire, costruire palazzi per ospitare le persone che arrivano qui, non solo dal resto del mondo, ma da tutta la Cina; dall’altro lato però c’è una società che sembra ancora ferma decenni indietro rispetto al resto del mondo, con delle abitudini che non passeranno mai inosservate per noi. Qui ci si rende davvero conto di cosa significhi “Terzo Mondo”, di cosa sia una metropoli che ospita milioni di abitanti, che in confronto Milano è un paesello. Lo si capisce dalle infrastrutture che hanno: strade sopraelevate, stazioni grandi quanto aeroporti, ma soprattutto lo skyline mozzafiato di Pudong.

Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo, e anche se non sono sempre cose positive, ne sono grata. Ci sono tante cose che non mi piacciono di questa società, ma allo stesso tempo alcune esperienze mi hanno fatto apprezzare questo popolo. Non dimenticherò mai quella bambina nella stazione di Suzhou che cercava di comunicare con noi, e rideva al sentirci parlare in inglese, perché per lei suonava strano. O del signore che in metro mi ha aiutato a caricare la carta senza parlare nemmeno una parola di inglese, perché le persone sono buone, volenterose di aiutarti, anche se non parlano inglese. Poi sono tante le cose che mi fanno sorridere e riscaldano il cuore: come lo sguardo di alcuni anziani in metro, che ci guardano incuriositi e ci sorridono, oppure le pensionate che la mattina su East Nanjing fanno aerobica o ballano, per mantenersi in esercizio.

 In questo momento mi trovo esattamente a metà della mia esperienza qui. Le attrazioni più turistiche di Shanghai le ho già visitate quasi tutte, inutile descrivere la bellezza di Yuyuan Garden, e della città antica, con mille bazar in cui puoi trovare di tutto. Shanghai non è molto storica, perché è davvero la città che ha subito di più l’influenza europea – come è anche chiaro dagli edifici che si trovano sul Bund. Però è incredibile come a solo mezz’ora di treno ci si possa trovare a Suzhou, una città fatta di canali, “la Venezia della Cina”, dove trascorrere una giornata passeggiando per la città antica; oppure a Hangzhou, “la Como della Cina”, con il suo immenso lago; a mezz’ora di metro ci si trova a Qibao, una mini-città all’interno di Shanghai, molto più storica e con molti canali. Qui ho visto per la prima volta un tempio buddista, una pagoda e in città ho assaggiato i dumplings più buoni della mia vita.

Il cibo è un altro argomento che suscita sentimenti contrastanti. Purtroppo – e per fortuna – sono italiana. Per questo la mia cultura culinaria è molto ricca, in più sono una sostenitrice della cucina semplice, con pochi ingredienti, in cui la qualità deve regnare sovrana. Qui molti dei piatti tipici sono invece degli assemblaggi in cui è difficile anche identificare gli ingredienti principali, per cui dopo un po’ ti inizi a chiedere davvero se stai mangiando un gatto. Le mie sperimentazioni si sono quindi fermate molto presto.

Però anche qui sono riuscita a selezionare i miei must, che se vi trovate in Cina vi consiglio di assaggiare assolutamente.

Al primo posto i dumplings di Qibao, il posto si chiama Bainián Longpao, è davvero minuscolo e ci sarà sicuramente da aspettare, ma ne vale davvero la pena. I miei preferiti erano quelli di gamberetti. Un suggerimento: fate attenzione perché sono ripieni di brodo (e se volete fare due risate, non ditelo ai vostri amici!).

Un’altra cosa che adoro è il Milk Tea with Pearls. All’inizio ero un po’ scettica, poi un giorno l’ho assaggiato ed è stato amore: non è altro che tè al latte con delle perle fatte di tapioca. Non ha un sapore molto particolare, ma la presenza delle perle gli da una consistenza strana che a me piace. Il più buono fino ad adesso è quello di CoCo.

Al terzo posto invece un dolce a cui non so ancora dare un nome e che non è veramente dolce – almeno per noi occidentali. Si tratta di palline di riso gelatinoso ripiene di red beans paste o sesamo. Erano diventati la mia addiction e sicuramente i più buoni sono quelli su East Nanjing.

Altre cose da provare per strada sono la frutta caramellata e i dumplings fritti. Ammetto di essere un po’ ignorante sui nomi e di fare un po’ la schizzinosa a volte, ma prometto che nel mese circa che mi rimane in Cina cercherò di capire il più possibile di questa cultura così diversa, di imparare un po’ di cinese, di visitare Pechino e di trarre il massimo da questa esperienza, che sicuramente mi ha aperto gli occhi sul mondo, dandomi una prospettiva diversa su molte questioni, ma anche tante conferme su di me. Perché alla fine viaggiare non è mai tutto rose e fiori o un completo disastro: è fatto di situazioni, belle e meno belle, dove tutto dipende dal nostro atteggiamento. E io accetto entrambe, perché quando usciamo dalla nostra comfort zone stiamo veramente crescendo.

 

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