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Cina: una nuova bolla speculativa preoccupa il mondo

La mattina dell’8 luglio a Shangai è stata sospesa quasi la metà dei titoli quotati, con transazioni bloccate per un valore di circa 1400 miliardi di dollari.

La “Assets Supervision and Administration Commission of the State Council”, ha ordinato ai 112 colossi imprenditoriali statali che controlla di non vendere più azioni, e di acquistare quelle delle società che controllano per stabilizzarne il valore.

Il crollo del valore dei titoli della borsa di Shangai, la principale borsa valori cinese, è iniziato nella metà di giugno, dopo un anno di forte crescita, con valori del 150% (cioè il valore di un’azione in un anno è più che raddoppiato).

                                                 Fonte: Bloomberg

Coinvolte nella crisi anche la borsa di Shenzen e quella di Hong Kong. Questa crisi sembra avere tutte le caratteristiche di una bolla finanziaria: una prima fase di crescita moderata e regolare, una seconda fase di forte crescita e prezzi decisamente elevati, senza apparenti ragioni collegate ai risultati delle aziende ed infine un repentino crollo del mercato. Ma come mai gli investitori hanno creduto che i titoli cinesi fossero destinati a crescere, nonostante alcuni avessero intuito che potesse trattarsi di una bolla?

Le spiegazioni possono essere molteplici. La prima poggia sulla speculazione, che si verifica quando gli investitori comprano degli asset per un prezzo maggiore del loro valore effettivo, pensando di poterli rivendere ad un prezzo ancora maggiore. Questo è possibile perché gli investitori non sono effettivamente razionali, poiché se così fosse, difficilmente esisterebbe la speculazione. Gli economisti hanno dimostrato che i cosiddetti “noise traders” possono sopraffare gli investitori razionali portandoli ad entrare nella bolla piuttosto che a combattere contro di essa. Poiché la maggior parte dei titoli cinesi è detenuta da investitori privati, è plausibile l’ipotesi che l’irrazionalità abbia sopraffatto il mercato.

Una seconda spiegazione dipende dal comportamento collettivo: se c’è la tendenza a comprare titoli sul mercato, è molto probabile che continui ad essere così semplicemente perché tutti lo fanno.

Una terza motivazione si base sulle “aspettative estrapolative”: a volte gli investitori possono interpretare le fluttuazioni di prezzo come trend destinati a continuare, mentre un’ultima teoria si basa sull’idea che ci saranno sempre nuovi investitori sul mercato.

In Cina, sembra che gran parte della crescita della borsa di Shangai sia stata trainata dall’indice ChiNext, che raccoglie le maggiori società tecnologiche del Paese. Molti credono che quello che sta succedendo in Cina, sia paragonabile alla bolla dei “dotcom” del 1999, una crisi generata da un troppo elevato entusiasmo per le nuove aziende digitali americane. La spiegazione più diffusa è che ad un certo punto gli investitori si siano resi conto che i prezzi dei titoli erano troppo elevati e hanno deciso di smettere di comprarli. Nel frattempo coloro che ne avevano acquistati, hanno tentato di venderli e, si è verificata una situazione di panico. Sono così intervenute le autorità cinesi, ma senza molto successo.

E’ importante sottolineare che la borsa cinese è per certi aspetti diversa dalle altre: vi sono molte limitazioni e controlli sulle proprietà straniere in Cina, pertanto sono ancora pochi gli investitori occidentali ed è per questo che il crollo ha influito poco sul mercato europeo e americano.

Interessante infine notare come il valore del mercato finanziario in Cina sia circa il 40% del PIL, mentre nelle economie avanzate possa superare il 100%.

Non ci resta quindi che restare a guardare come si evolverà la vicenda e se quest’ennesima bolla speculativa, ci costringerà a vivere ancora in un “dopo-bolla” grave come quello che stiamo ancora tentando di superare. La particolarità del mercato cinese, potrebbe questa volta attutire il coinvolgimento degli Stati occidentali, ma bisognerebbe chiedersi se tale peculiarità possa essere sufficiente ad attutire gli effetti di un evento da alcuni ritenuto peggiore di un’eventuale Grexit.

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