Nelle crepe dello Stato si infiltrano le mafie
Mentre l’Italia è rinchiusa in casa e gli Italiani cercano di decifrare il significato di “prossimo congiunto”, la criminalità organizzata inizia a spianarsi la strada per un’entrata eclatante.
Gli sciacalli organizzati, anche detti boss, sono pronti a cavalcare il malessere generale. La crisi economica che molti imprenditori ma anche lavoratori autonomi e dipendenti stanno vivendo è un ottimo business per le mafie. Sappiamo che la criminalità organizzata ha sempre trovato campo fertile nella povertà e, quando lo Stato è incapace di ascoltare le grida di aiuto di una popolazione sul lastrico, a percepirle pienamente è la criminalità.
Così, ai tempi del covid-19, gli scagnozzi dei boss vengono sguinzagliati e, con un sorriso compiaciuto di chi sa di aver acquisito un nuovo perenne debitore, si presentano alla porta del malcapitato con una busta piena di spesa o con una banconota importante. I mafiosetti di turno, con la scusa dell’altruismo, scendono in strada e continuano la loro attività di spaccio. Busta in mano e mascherina, si mimetizzano tra i mille volontari che quotidianamente si spendono per aiutare chi ha bisogno senza alcun tornaconto. Sono state segnalate disparate modalità di spaccio ai tempi del covid-19, dalla sorpresa dentro la busta della spesa e gli incontri clandestini in piena notte, alla imbucata nelle cassette della posta. Insomma, pare proprio che il lock down valga per tutti fuorché per le mafie, che continuano il loro business e accrescono la loro fama palesandosi come caritatevoli uomini pronti ad aiutare il prossimo.
Tutto questo contornato dai ritorni sui grandi schermi di ergastolani condannati in via definitiva, che rientrano nelle loro abitazioni in quanto potenzialmente a rischio contagio da coronavirus. Esattamente non è chiara la motivazione per cui tra tutti i detenuti con patologie pregresse siano proprio i condannati ex art. 416 bis “associazione a delinquere di stampo mafioso” ad essere a rischio, mentre tutti gli altri non vengono presi in considerazione. A quanto pare, però, la magistratura, dimenticando forse il dettame dell’art. 3 della Costituzione che afferma il famigerato principio di uguaglianza, ha fatto le sue considerazioni ed è giunta alle sue conclusioni. Tali conclusioni hanno portato alla scarcerazione di decine di pericolosissimi boss. Il tutto è iniziato con la concessione degli arresti domiciliari per Antonio Sudato condannato “solo” per estorsione, associazione mafiosa ed omicidio. Ma il caso Sudato non è stato un caso isolato; è diventato piuttosto un pericoloso precedente che ha accresciuto le richieste e le concessioni di scarcerazioni di condannati al 41bis. Così la lista è diventata sempre più lunga e c’è chi conta oltre quaranta scarcerazioni di soggetti condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso.
In ultimo, è stata richiesta la scarcerazione di Raffaele Cutolo, considerato il capo fondatore della Nuova Camorra Organizzata. Questa richiesta ha fatto tremare oltre che le famiglie delle vittime e i cittadini onesti anche chi la mafia l’ha combattuta e la combatte giornalmente come il Procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, o illustri magistrati come Nino Di Matteo, Catello Maresca e Gian Carlo Caselli, che accusano lo Stato di aver abbassato la guardia contro la criminalità organizzata dimenticandone la pericolosità.
Cercando di tirare le fila della situazione critica in Italia, appare evidente che mentre lo Stato si concentra ad avviare una fase di convivenza con il virus, c’è chi combatte un virus più pericoloso: la povertà e chi dalla stessa ne trae vantaggio, come stanno facendo per l’appunto le mafie.
Tra scarcerazioni e buste stracolme di spesa, la criminalità organizzata esce allo scoperto riappropriandosi di un’egemonia che non ha mai perso del tutto. Alla fine, è una storia vecchia e purtroppo conosciuta quella secondo la quale dove non arriva lo Stato arrivano le mafie. Ci verrebbe da dire che il coronavirus che a molti sta togliendo la vita, alla criminalità la sta restituendo. Ma in tutto questo lo Stato dov’è? Se i cittadini riuscissero ad avere un sostentamento reale, se i famosi 600 euro fossero erogati, magari per le mafie sarebbe più difficile insediarsi.
È necessario oltretutto che lo Stato non dimentichi la virulenza della criminalità organizzata, il più contagioso e aggressivo dei virus: basta dargli uno spiraglio di luce e da quello costruisce uno splendente impero, pronto a sacrificare vite e diritti. E il fascio di luce sta arrivando con le scarcerazioni dei boss. Urge a tal proposito un intervento normativo in grado di regolamentare le condizioni carcerarie italiane durante questa emergenza. Le proteste nelle carceri si sono placate, ma del resto una soluzione non è comunque stata trovata, o meglio non dalla legge. L’intervento è stato richiesto a gran voce e si vocifera che qualcosa si stia muovendo, anche se in palese ritardo, con il decreto c.d. “AntiBoss”, che ancora prima di essere emanato ha già creato scompiglio e diatribe. Ma per le scarcerazioni già effettuate cosa accadrà? Sappiamo che la legge penale, salvo il caso in cui non sia più favorevole per il reo, non ha effetto retroattivo. Quindi il rischio concreto è che al di là di ogni intervento, i boss scarcerati restino comodamente seduti sul divano e dallo stesso riprendano il pieno comando. È un rischio che l’Italia non avrebbe potuto correre, ma che l’assenza delle Istituzioni ha reso vivo. Questa volta la strage non sarà reprimibile con l’isolamento fiduciario.
Già pubblicato su Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei Ventenni 4/5/2020