C’è ancora domani, il primo film di Paola Cortellesi regista, ha superato ogni pronostico diventando il film italiano col maggior numero di incassi (almeno) dalla pandemia. Una fotografia della vita quotidiana di una tipica e media famiglia romana del dopoguerra in cui l’uomo è pater familias accentratore, è colui che decide per sé e per tutti, che ordina, pretende, dispone e la donna deve stare nel posto riservatale da lui perché non conta quanto l’uomo, o meglio non conta come individuo: non conta nella sua fisicità, non conta nel suo intelletto, non conta nei suoi sogni e aspirazioni.
Quel che conta è solo come quella donna può asservire alla vita degli uomini che la circondano e sarà tanto brava quanto più saprà stare a bocca chiusa.
C’è un filo di tensione costante in cui la normalità della violenza e degli abusi tiene lo spettatore sospeso e che viene ad essere spesso tagliato dall’ironia pungente della musica e delle mille loquaci espressioni della protagonista. Delia è una donna abusata e comunque fiera di esser donna, amica, lavoratrice, mamma. Delia è abituata al sacrificio non dovuto di sottomissione e botte ma non per questo si ribella al sacrificio d’amore per i figli. Delia non è quella violenza nonostante sia costante della sua vita.
Cortellesi ci racconta di libertà violate dove la violenza fa da padrone perché arma contro chi prova ad esercitarle ma ci presenta anche la metamorfosi, l’evoluzione di una donna nella battaglia silenziosa di un’emancipazione incalzante. Seppur oppressa e seppur in un’epoca in cui non c’erano molte alternative di vita, Delia si aggrappa a tutto ciò che la fa sentire libera: dalla sigaretta alla cioccolata americana, da qualche soldo nascosto alla famosa lettera. Quella lettera è la speranza che qualcosa può ancora cambiare. E non solo per sé.
Parte da lì la rivoluzione: blocca la ruota di violenza intergenerazionale che caratterizza il suo mondo per insegnare a se stessa ed alla figlia che si può confidare in qualcosa di migliore ma è necessario che ognuno faccia il suo.
Allora i soldi che teneva da parte, che spesso le son costati umiliazioni ed anche botte, non serviranno più per il vestito da sposa più bello per la figlia, serviranno per dare forma al suo sogno di studiare; ed è così che l’amicizia con un soldato riconoscente, che pure l’è costata umiliazioni ed anche botte, è il mezzo per salvare quella stessa figlia -ancora incosciente- dalla gabbia relazionale da cui lei stessa, ancora, non è riuscita ad uscire ma che non vorrebbe soffocasse qualcun’altra, a costo di usare una bomba.
C’è ancora domani è un pugno ben sferrato, che non vedi arrivare, che sottovaluti perché ti sembra simile a tanti altri colpi ricevuti ma lo senti dritto allo stomaco (ed al cuore) quando ti lascia la piena consapevolezza che neanche la scelta del bianco e nero può farti credere che sia una storia di un’altra epoca, perché lo sai che, anche senza aver “fatto la guerra”, troppi uomini (e alcune donne) ancora riflettono i canoni di società patriarcale e trasudano di presunzioni di superiorità di genere.
E lo fanno anche quando ti lanciano commenti imbarazzanti non richiesti per strada, anche quando ti incontrano in uno studio professionale e danno per scontato che tu sia la segretaria, anche quando non puoi uscire di sera o indossare quel che più ti fa sentire a tuo agio col tuo corpo perché terrorizzata dal fatto che quel corpo possa non essere più tuo, anche quando ti denigrano, ti svalutano, ti fanno sentire meno importante di qualcuno o di qualcosa, anche quando non ti supportano nelle scelte che sogni di prendere, anche quando decidono per te, anche quando ti tolgono il fiato, anche quando fanno cessare la tua vita.
La scorsa settimana sembrava essersi fermata nello sgomento collettivo per il ritrovamento del cadavere di Giulia Cecchettin, 105° donna uccisa in Italia nel 2023. Eppure, dopo meno di 48 ore, i giornali hanno rimbalzato notizie di altre donne uccise. C’è chi dice “sono tutti gli uomini”, c’è chi dice “non sono tutti gli uomini”; c’è chi crede nella lotta in piazza, chi pensa che solo i politici eletti possano cambiare le cose. Un dato è certo: quel che il caso di Giulia ha smosso dentro di noi non è stato legato solo al terribile evento che l’ha coinvolta (forse l’ennesimo caso del tutto speculare a troppi altri non ci sorprende neanche più, per quanto ci rattristi terribilmente); quel che ci ha smosso più delle altre volte è la verità di fondo che questo caso ci ha sbattuto ancora una volta in faccia, a partire dal discorso della sorella Elena.
Non c’è nessun mostro, non c’è nessun malato, non è rabbia né un raptus, non c’è nulla che possa considerarsi straordinario e quindi non ci sono più scuse che reggano! Dai dati ISTAT degli ultimi anni si evidenzia che in Italia il numero di omicidi è in netto calo (dai 711 del 2004 ai 314 del 2022) ma che i numeri di donne uccise non è diminuito: ogni due giorni viene uccisa una donna e i femminicidi costituiscono quasi la totalità degli omicidi di donne. E accanto alle donne uccise 7 milioni hanno subìto almeno una violenza. Il quadro è raccapricciante. E non solo perché quel che consideriamo uomo moderno dovrebbe aborrire ogni tipo di violenza ma anche e soprattutto perché quel che rende ripugnante ogni singolo abuso sulle donne è che ciò avviene proprio perché la vittima è donna, la si vuole colpire per il suo essere tale e quindi considerandola di meno valore.
E forse il film di Cortellesi, allora, non ha bisogno né di essere un capolavoro né di essere innovativo. Forse semplicemente basta che ci ricordi quanta libertà potremmo avere e quanto questa, ancora oggi, a distanza di anni dal dopoguerra e nel mondo che dovrebbe essere a colori, è ancora bistrattata e negata. Basta che dia speranza: si può ancora lottare, si può ancora cercare una soluzione, ma ognuno deve fare il suo (per sé e per gli altri!) perché le libertà delle donne siano effettivamente tutelate, perché la violenza sia estirpata dalle radici, dai piccoli abusi di ogni giorno; perché l’educazione al rispetto dell’altro, chiunque esso sia, passa dalla formazione esperienziale delle relazioni e se molti giovani pensano, ancora, nel 2023, che ci siano individui che valgono meno di altri e sui quali siano in diritto di prevaricare, è tutta la società a dover intervenire a muso duro, anche a bocca chiusa se necessario.
Per noi, e per tutte coloro a cui è stato negato l’avvenire, si può ancora lottare. C’è ancora domani.