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Cambiare la scaletta degli Oscar ha funzionato?

Iniziamo con la risposta breve: no.

Qui provo a spiegare perché.

Se avete assistito alla serata degli Oscar 2021 o avete preferito dormire e leggere le news questa mattina, sapete che la cerimonia ha avuto una conclusione quanto più atipica e anti-climatica possibile.

Per chi di voi invece fosse avulso a queste dinamiche o semplicemente confuso, durante la notte degli Oscar solitamente gli ultimi premi consegnati riguardano la categoria Miglior Attore e Miglior Attrice, concludendo il tutto con la statuetta al Miglior Film. Strutturando in questo modo la serata, gli ultimi saluti vengono percepiti come un momento di festa e celebrazione del cinema, il premio a Miglior Film viene ritirato dai produttori, accompagnati sul palco da gran parte del cast e dei collaboratori.

Quest’anno, tuttavia, si è scelto di invertire l’ordine, per cui a metà serata è stato annunciato dalle testate che a essere consegnato per ultimo sarebbe stato il premio al Miglior Attore. Tutti hanno ipotizzato che si trattasse di una scelta volta a celebrare Chadwick Boseman, l’attore scomparso l’anno scorso improvvisamente e la cui ultima performance gli ha assicurato numerosi premi postumi.

Invece, con sorpresa di molti, è stato premiato Anthony Hopkins per il suo ruolo in The Father, che non sfigura per nulla accanto al re di Wakanda, ma per forza di cose è stato accolto più con perplessità che emotività, soprattutto vista l’assenza di Hopkins alla cerimonia.

Ecco che quindi Joaquin Phoenix annuncia il nome, scatta l’applauso, viene annunciato che vista l’assenza dell’attore sarà l’istituzione stessa a ritirare la statuetta e con la foto di Hopkins in sovrimpressione si oscura tutto, terminando bruscamente la cerimonia. Nessun discorso finale, nessuna esibizione musicale, nulla.

Quindi, cosa non ha funzionato?

In un articolo di Collider, Adam Chitwood spiega come il team di Steven Soderbergh, incaricato dell’organizzazione della serata, abbia strutturato la scaletta come una sceneggiatura. Ha anche incoraggiato i candidati a preparare discorsi lunghi, accorati, di creare un loro “momento” in caso di vittoria, fosse questo divertente (come è stato per Emerald Fennell e Daniel Kaluuya) o commovente, come nel caso di Thomas Vinterberg, regista di Another round (Druk) che gli è valso l’Oscar a Miglior Film Straniero.

Inoltre, complice l’assenza per il secondo anno consecutivo di un* presentator*, anche gli intermezzi affidati alle altre personalità candidate erano chiaramente frutto di una organizzazione che voleva creare un mood cinematografico, evidente fin dalla prima “scena” che vede un lungo piano sequenza che accompagna l’entrata della prima presentatrice: Regina King.

If you want a happy ending, that depends, of course, on where you stop your story.

Orson Welles

Con un inizio così era difficile deludere le aspettative e un regista navigato come Soderbergh dovrebbe sapere che, per quanto bella una pellicola, se il finale non è all’altezza le persone parleranno solo di quello e quel che è peggio è l’unica cosa che ricorderanno. Ovviamente era, però, all’oscuro sui vincitori – come me, che per la prima volta quest’anno ho voluto partecipare a un toto-Oscar.

Non solo; come me, sembra avesse letto i pronostici che davano per certa la vittoria di Boseman come miglior attore e, annusando la possibilità di una conclusione commovente, abbia invertito le premiazioni finali. È stato un rischio, è stato ridicolo che nessuno all’Academy gli abbia quantomeno fatto intendere (senza svelare nulla) che modificare la scaletta su queste basi non fosse una buona idea. Certo, le prime edizioni degli Oscar seguivano questa struttura, ma premiare il Miglior Film alla fine ha senso per i motivi che ho già citato prima, essendo l’impronta emotiva decisamente maggiore.

Modificando la scaletta, volendo ipotizzare anche che fosse una celebrazione delle prime edizioni, non solo hanno deluso e disorientato pubblico e partecipanti, ma anche tolto rilevanza al premio, che mai come quest’anno era un’occasione per festeggiare questo apparente re-branding degli awards in chiave più inclusiva e progressista.

Chloé Zhao, che è diventata la seconda regista donna e la prima regista poc a vincere come Miglior Regista, era anche la produttrice, editor e sceneggiatrice del film vincitore. Nomadland ha significato molto, ma tutto è stato oscurato per un virtuosismo artistico che come un boomerang si è rivoltato contro stroncando ogni sentimento positivo (a tratti paraculo, certamente) che la cerimonia degli Oscar suscitava.

Non che dopo il plot-twist La La Land/Moonlight avessimo grande stima delle loro capacità organizzative, ma in un’edizione così intima e senza pretese, bastava veramente poco a lasciare il ricordo di una piacevole serata.

 You had one job.

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