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AUSTERITY: SIAMO SULLA STRADA GIUSTA?

Di Marinella Amato


Nelle ultime settimane è tornato a farsi sentire il tema del debito pubblico greco e dell’impossibilità per la nazione di sopportare le politiche di austerità imposte da Bruxelles con il piano di salvataggio del Paese. Ma l’austerità è davvero la ricetta giusta per uscire definitivamente dalla crisi? In questo numero, vogliamo fornire una visione alternativa a quella che conosciamo e che è stata messa in atto.

L’austerity, potrebbe essere la misura corretta da adottare se il problema da fronteggiare fosse effettivamente l’elevato debito pubblico. Tuttavia, è opinione diffusa tra gli economisti che la vera causa della crisi non sia l’elevato debito pubblico, ma il debito estero. Con debito estero si intende il debito pubblico detenuto all’estero, cioè i titoli di stato acquistati da investitori stranieri. Quando la gran parte del debito pubblico di un Paese è detenuto all’estero, ci si ritrova in balia dei mercati finanziari internazionali.
Analizzando i fatti da questo punto di vista, ci si accorge che ciò che ha portato a spaccare l’Unione Europea è proprio il processo di unificazione: con la moneta unica, i Paesi della periferia dell’Europa (localizzati geograficamente al Sud, tranne che per l’Irlanda), hanno potuto godere di una maggiore fiducia da parte dei mercati e di conseguenza incassare grandi flussi di capitali, senza rischio di cambio e con grande liquidità. Grazie a questi flussi di capitali, tali Paesi hanno potuto indebitarsi, almeno fino allo scoppio della crisi.
Con essa è tornato a farsi sentire il rischio-paese e questo ha portato ad un divario crescente tra i rendimenti dei titoli emessi dai vari paesi e quelli emessi dalla Germania.

Alla luce di queste considerazioni, si dovrebbe perciò provare ad intervenire alla vera radice del problema: bisogna promuovere la messa in opera di strumenti di aggiustamento cooperativi per eliminare gli squilibri negli scambi reali tra i Paesi membri dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), in contrapposizione con la visione “tedesca”, secondo cui i Paesi periferici che hanno avuto una gestione fiscalmente irresponsabile e che non sono stati capaci di attuare politiche volte ad aumentare la competitività, devono perseguire un regime di austerità fiscale al fine di ristabilire la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Secondo molti economisti, si dovrebbe mettere in atto una “camera di compensazione” riservata al finanziamento delle transazioni commerciali fra Paesi membri che funzioni secondo il modello della clearing union proposto da Keynes a Bretton Woods, imponendo cioè limiti ed oneri simmetrici ai paesi creditori e ai paesi debitori. Chiariamo questo concetto: al momento di una transazione (che si verifica quando due controparti effettuano rispettivamente un acquisto e una vendita), si generano un debitore (chi acquista) e un creditore (chi vende). La compensazione (in inglese clearing) è un meccanismo che permette alle controparti partecipanti ad una “camera di compensazione”, di regolare tra loro i rapporti generati dalle transazioni finanziarie effettuate sui mercati o tramite scambio di assegni o denaro tra banche. Essa si realizza aggregando tutte le posizioni di acquisto e vendita avvenute su un prodotto o titolo detenuto da ciascuna delle due parti e calcolando il saldo netto che ogni parte deve dare o ricevere, cercando di minimizzare lo scambio finale di denaro o beni.
In questo modo, si eliminerebbe la possibilità di speculazione senza imposizione di limitazioni ai movimenti di capitale e si rassicurerebbero i mercati sulla sostenibilità delle posizioni dei singoli Paesi. Si avrebbe cioè una camera di compensazione strettamente connessa agli scambi reali, capace di finanziare gli squilibri, ma anche di riassorbirli.

In questo modo si raggiungerebbe il duplice scopo di assicurare agli investimenti reali una fonte di finanziamento più stabile e meno onerosa in quanto indipendente dai movimenti speculativi di capitali e di fornire gli incentivi adatti a garantire il raggiungimento di un equilibrio nel saldo estero di ciascun pase dell’Eurozona con un meccanismo cooperativo di aggiustamento degli squilibri.

In quest’ottica, sarebbe auspicabile prendere coscienza non soltanto dell’inutilità, ma anche dell’effetto depressivo delle politiche di austerity e provare a cercare soluzioni alternative alla crisi.

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