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L’amor che move il sole e… Assurditè

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Chiara Balzan, in arte Assurditè | ph: pagina Facebook Assurditè

Venti ha intervistato la cantautrice milanese nei giorni del Laos Fest a Scalea

Un’anima romantica immersa nei suoni della contemporaneità e, forse proprio per questo, più sensibile di altre agli echi del passato. Il jazz e il rhythm and blues, le sonorità urban e il più tradizionale intreccio piano-voce: l’orizzonte sonoro della 24enne milanese Chiara Balzan, che ha scelto un fantasioso nom de plume, Assurditè, per farsi conoscere dagli ascoltatori. L’incontro con la musica in tenera età, le escursioni adolescenziali sulle rotte delle arti figurative prima di avanzare con passo deciso nel mondo della canzone.

L’esordio nella primavera del 2020 con Bacio a distanza – una parentesi sentimentale nei giorni drammatici dell’emergenza sanitaria – due brani strappacuore (la splendida Vorrei che fosse odio e Flora, presentata a Musicultura 2021) e una naturale evoluzione stilistica e creativa culminata nei suoi primi due EP: Assurditè – pubblicato nel settembre 2022 – e il nuovo Gipsy Chic, con cui ha presidiato i cartelloni delle rassegne di musica indie. Compreso il Laos Fest di Scalea, nel quale ha condiviso la scena con altri nomi di tendenza sulle piattaforme di streaming come Dadà, Avincola, Colombre, Giovanni Toscano e i Santateresa. A margine della sua partecipazione al più importante festival di musica indipendente dell’estate calabrese, Assurditè ci ha accompagnato nel suo personalissimo atelier, in cui la musica e le parole – ora sussurrate, ora incandescenti – hanno il potere di spiazzare e di commuovere.

Assurditè, il suo eclettismo musicale si nutre di ascolti piuttosto eterogenei: le grandi voci femminili e i cantautori italiani, la scena indie e le più recenti tendenze urban. Come si conciliano queste anime nelle sue composizioni e nei suoi testi?

«Conoscere e ascoltare tanta musica diversa per me è fondamentale. Trovo limitante il fatto di focalizzarmi su un solo genere, sia quando ascolto la musica, sia quando la faccio».

Le sue canzoni si insinuano tra le pieghe dell’amore, descrivendone le fiammate (Amore&Casino, Moovitè), i momenti di stallo (Al terzo sbadiglio), le fratture dolorose (Vorrei che fosse odio, Flora). Quali sono le storie più difficili da raccontare, secondo lei?

«Le storie più difficili da raccontare sono quelle che ti fanno stare bene. Personalmente mi sento molto più vulnerabile a descrivere con sincerità un amore vero, puro, sereno. È difficile trovare parole che possano rendere giustizia a quel tipo di energia, il rischio è quello di risultare banale. È più facile lamentarsi di un amore non corrisposto».

Vorrei che fosse odio (2022)

A maggio è uscito il suo secondo EP, Gipsy Chic, in cui sono raccolti i brani che ha pubblicato sulle varie piattaforme di streaming negli ultimi mesi, compreso il singolo di lancio Moovitè. Fin dal titolo, lei rivendica quelle contaminazioni che si possono ben rintracciare nelle sue canzoni: dal funk mediterraneo del brano apripista alle classiche linee melodiche di Abbraccio senza tetto. Pur seguendo traiettorie diverse, c’è qualcosa che accomuna questi brani?

«Il mio EP d’esordio era molto improntato sulla musica Indie e R&B. In questo, invece, ci sono diverse contaminazioni. I brani sono accomunati dal tema dell’“opposto” a partire dal titolo. La medaglia ha due facce e noi ne abbiamo 300.000, ci tenevo a sottolineare questo concetto. Soprattutto nell’ambito creativo, come quello musicale, autodefinirsi in un solo genere credo che sia la fine dell’evoluzione artistica. Non è necessario fare sempre le stesse cose per essere “coerenti”, è bello lasciarsi andare, sentirsi liberi di fare tutto ciò che si vuole».

Moovitè (2023)

Il testo di Figlie della Luna cattura le sensazioni di una notte alcolica fino al guizzo che chiude il ponte: «Ho perso un po’ la testa/e di cercarla non mi va». In un’epoca «senza casa e identità» come questa, chi sono i figli della luna?

«Le figlie e i figli della luna siamo noi, una generazione di anestetizzati».

Il primo estratto da Gipsy Chic, Figlie della Luna

Ascoltando i suoi testi e le sue invenzioni lessicali, è inevitabile pensare a Calcutta. Che cosa la attira della scena indie e delle sue sempre più frequenti contaminazioni con il mainstream?

«Della scena indie mi attirava molto il modo in cui si poteva parlare di tutto, anche con frasi apparentemente senza significato che nascondevano mondi. Mi piaceva la sincerità e la spontaneità. Mi piaceva l’idea di non dover fare il fico ma, più semplicemente, di essere te stesso».

Lei ha partecipato al Laos Fest, uno dei non numerosi festival di musica indipendente del Sud Italia. Quanto è importante far conoscere e apprezzare questa scena artistica anche al di fuori della cerchia dei semplici cultori?

«Importantissimo! Ultimamente si parla di poche cose, la musica indipendente parla di più».                             

Flora (2021)

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