Una “Barriera Relativa” che non ha bisogno di essere abbattuta ma abbracciata: i Mimica e il loro esordio

Chi sono i Mimica?
Singolarmente sono Marco Onetti, voce e chitarra, Nicola Mentasti, chitarra, Paolo Biavaschi, basso, Gianluca Rabbiosi alla batteria.  Questa la formazione del gruppo che “nasce” in un paesino della Valtellina. Prima di raggiungere la formazione definitiva passano anni turbolenti, come, del resto, la storia della musica ci insegna, mantenendo, però, una costante: la sonorità del grunge e del rock. Gli anni passano e la formazione si arricchisce fino a diventare definitiva con i quattro membri citati poc’anzi. Eccoli, i Mimica all’esordio del loro primo disco “Barriera Relativa” che dal 30 marzo è disponibile e fruibile sulle varie piattaforme di stream music tra cui Spotify. Spinta dalla mia enorme curiosità, metto le cuffie e faccio partire la sequenza delle loro cinque canzoni. Inizio, però, dal singolo che anticipa l’uscita dell’album: “Incubo” feat. Guzman, rapper italiano acuto e talentuoso. Non nascondo che la canzone riesce a rapirmi subito. Mi basta un primo ascolto. Un testo profondo, mirato, a tratti duro e reale proprio come un incubo. Ma è dal minuto 1.20 che succede qualcosa di magico: le sonorità mi ricordano i primi Muse. Eh no, non esagero. La chitarra si fonde con il basso e la voce del cantante mi ricorda proprio il loro modo di innovare con la musica.

“…Occhio che parla e poi riflette, indietreggiare fino alle strette gettarsi avanti in un istante. Per non fermarsi alle scommesse dona a chi vince e toglie a chi perde, dona a chi vince toglie a chi perde perché in realtà non è ciò che serve. È ciò che serve ciò che più mi sfugge”.

Si deduce da queste poche righe che “Barriere relative” è un disco che mostra scorci di realtà, che tende a racchiudere momenti che riflettono la quotidianità da una prospettiva sia razionale che emotiva. Ascoltarli è come entrare a pieno in una “giornata tipo” di ognuno di noi.

Quello che mi piace fare è giocare con le parole e, anche in questo caso, lo faccio. I titoli delle canzoni contenute nel disco formano una frase: “Come ho sempre fatto: è un Indelebile Incubo Senza fine. Tocca a te, Scegli il numero, giochiamo alla vita che è una roulette. Bello, no? Come se sentissi il disco un po’ mio.

L’album si apre con Senza fine, che presenta sonorità rock estremamente pure, di quelle che non si sentono spesso, soprattutto nell’attuale panorama italiano predominato dalla scena indie. La chitarra graffiante che introduce Scegli il numero accompagnerà il testo attuale e diretto: “sei utilizzato per ciò che qualcuno ha deciso, sei tu ma non lo sai”. Il testo sottolinea come spesso perdiamo di vista l’individualità che ognuno di noi possiede e la voce del cantante ci sussurra, come se fosse un mantra, “ricorda che puoi”.

Arriviamo così alla traccia che preferisco in assoluto Come ho sempre fatto. Qui i Mimica mi riportano anni addietro, mentre ho 20 anni ed ascolto i Liquido, band fondata nel 1996 da due membri dei Pyogenesis; resto rapita. Non chiedetemi perché, ma l’intro mi permette di fare questo viaggio. È proprio questo che deve fare la musica, non credete? Farci viaggiare, soprattutto adesso che siamo tutti fermi. Ma, del resto, “è un percorso e ci vuole tempo disposizioni e impegno”. Mi sento sempre più all’interno delle loro barriere relative e arrivo così all’ultimo pezzo Indelebile. Sferrano l’ultimo destro con un brano che fonde batteria, basso e chitarra in un unico strumento arricchito da sonorità elettroniche dei primi anni ’90. I 2:56 del pezzo volgono al termine ed io batto le mani.

Questi sono i Mimica, ascoltateli adesso.

Hanno la capacità di rendere un testo introspettivo ma non rigido, in modo tale che ognuno di noi possa ritrovarci un pezzetto di sé.

Grazie ragazzi, ad maiora!

Dopo avere ascoltato l’album ho fatto quattro chiacchiere con Marco Onetti (voce e chitarra dei Mimica), scoprite tutto a pagina 2!