Revenge porn: quali prove occorrono e a chi rivolgersi per chiedere aiuto

Il fenomeno del revenge porn, che sta tristemente dominando le pagine di cronaca di questi giorni, consiste nella diffusione di materiale pornografico all’insaputa della vittima a scopo vendicativo. La condotta penalmente rilevante può essere costituita dalla pubblicazione di foto o video intimi o dalla minaccia di pubblicazione (a volte anche a scopo di estorsione).

Chi compie questo reato generalmente è (o era) legato alla vittima da un rapporto sentimentale e agisce proprio allo scopo di vendicarsi, umiliare e ledere l’immagine e la dignità dell’altro. 

Il fenomeno sta diventando sempre più preoccupante e molti Stati (come il Regno Unito, la Germania, Israele e alcuni Stati USA) hanno adottato normative severe atte a contrastarlo. In Italia fino al 2019 non esisteva una normativa specifica sull’argomento, dunque si potevano invocare per quanto possibile le normative sulla privacy, sull’estorsione e sulla diffamazione, spesso insufficienti e non adatte vista la portata e l’importanza del fenomeno.

Il 9 agosto è entrata in vigore in Italia la Legge 19 luglio 2019, n 69, c.d.  “Codice Rosso”, che ha introdotto disposizioni specifiche in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

In particolare, è stato introdotto l’Art. 612 ter c.p. , sul c.d. “Revenge Porn”, rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.

Grazie al Codice Rosso, è prevista finalmente una normativa ad hoc che disciplina il revenge porn. La nuova fattispecie di reato punisce: “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro“.

La stessa pena, dunque, si applicherà anche nei confronti di chi, avendo ricevuto le immagini o i video, li diffonde a sua volta; si mira quindi a punire anche eventuali soggetti coinvolti nella condivisione del materiale oggetto di revenge porn. 

Se il reato di pubblicazione illecita è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, ovvero da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla vittima, il reato è aggravato. Altre aggravanti sono previste se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici o se commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Come si procede?

Il reato è punibile a querela della persona offesa, che potrà essere proposta nel termine di 6 mesi e rimessa solo in sede processuale; è punibile invece d’ufficio la diffusione illecita di video o immagini sessualmente esplicite aggravate, nei termini pocanzi chiariti.

Oltre al reato di cui all’art. 612 ter c.p, ci sono da considerare le norme che sanzionano il cyberbullismo, collegato a una serie reati, tra cui violenza, diffamazione, revenge porn e stalking. Se il reato è a danno di soggetto minorenne, può ricorrere anche la fattispecie criminosa della pedopornografia, punita con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 ad euro 240.000.

Quali prove servono?

Gli screenshot non sempre si presentano come prove inequivocabili, perché potrebbe ipotizzarsi una loro possibile manipolazione. Soccorrono, invece, le prove digitali, da raccogliere attraverso dei servizi online che diano un’effettiva garanzia circa la loro genuinità. È quindi preferibile salvare le prove come file originali in chiavetta usb o un cd che illustri i link diretti alla loro fonte. 

A chi rivolgersi per chiedere aiuto se si è vittime di revenge porn?

Sono percorribili diverse strade per ottenere aiuto, tra le quali: 

  • le forze dell’ordine (polizia postale, carabinieri);
  • avvocati e associazioni di categoria (ad esempio “Odiare ti costa”) per ottenere assistenza legale e studiare la migliore strategia per agire;
  • aiuto stragiudiziale, ad esempio start up a vocazione sociale (anche definite “SIAVS”) che offrono aiuto nella rimozione dei contenuti online (per quanto possibile) e la cristallizzazione delle prove digitali.

Nell’ultimo caso esiste, ad esempio, “Chi odia paga“, una startup innovativa a vocazione sociale nata per combattere ogni forma di odio online, come il cyberbullismo, lo stalking, il revenge porn, l’hate speech o la diffamazione online. Le persone offese possono ricevere un feedback automatizzato per capire se le condotte subite sono legalmente sanzionabili o meno e utilizzare strumenti tecnici e legali necessari per difendersi dai reati subiti.