Quando la tv si sintonizzò sul futuro

Quarant’anni fa, la nascita di Canale 5 inaugurò l’era della televisione commerciale

1980, anno di confine tra le ultime istantanee di un Paese ancora illividito dai colpi di coda della lotta armata e l’alba di un decennio di profonde e radicali trasformazioni. L’Italia che si affacciava agli anni Ottanta si specchiava nei suoi mali antichi – che squarciarono il velo sulla «questione morale» sollevata dal segretario del Pci, Enrico Berlinguer – ma tradiva nel contempo un latente desiderio di modernità, alimentato dall’espansione del made in Italy nel settore della moda. «Indossa gli abiti dei migliori stilisti: Halston, Gucci, Fiorucci»: un’ode a due dei nostri marchi di abbigliamento più celebri intonata da quattro sorelle di Philadelphia, le Sister Sledge, nella popolare He’s the greatest dancer, imitate alla fine degli ’80 dai Pet Shop Boys con Paninaro. Eppure, in quel sentiero stretto a cavallo tra due decenni tanto diversi tra loro, la metamorfosi sociale e culturale che investì il nostro Paese avvenne, assai banalmente, nel tinello di casa.

Martedì 30 settembre: mentre le prime pagine dei quotidiani documentano l’ennesima crisi di governo, che obbligherà il primo ministro Francesco Cossiga a rimettere il mandato, e la fase più calda degli scioperi che dai primi giorni del mese hanno bloccato le linee produttive negli stabilimenti Fiat, in televisione debutta un network che aggrega cinque reti regionali sotto le insegne di un biscione, simbolo della dinastia milanese dei Visconti. Canale 5, la prima tv commerciale italiana, sposa una strategia editoriale e comunicativa senza precedenti: il suo fondatore, l’imprenditore edile Silvio Berlusconi, vuole seguire l’esempio dei grandi gruppi televisivi americani – alle cui produzioni Canale 5 attingerà a piene mani – costruendo un rapporto diretto, quasi empatico, con il pubblico, sedotto da uno slogan divenuto proverbiale: «Corri in casa in tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta».

Non solo: il network di Berlusconi – che aggira il divieto di trasmettere in diretta sul territorio nazionale, distribuendo alle emittenti affiliate decine di cassette con i programmi già confezionati affinché fossero trasmessi ovunque alla stessa ora – decide immediatamente di entrare in aperta concorrenza con la Rai, ancora prigioniera dei bizantinismi della politica nonostante avesse intrapreso un faticoso processo di rinnovamento all’indomani della riforma del 1975: nel dicembre del 1980, infatti, Berlusconi acquista in esclusiva i diritti del Mundialito, un torneo di calcio riservato alle nazionali vincitrici della Coppa del Mondo. I vertici della tv pubblica, colti di sorpresa dalla mossa di Canale 5, decidono di scendere a patti con l’editore lombardo: le partite dell’Italia e la finale del Mundialito in diretta sulla Rai, il resto del torneo in differita sul Biscione.
Una prova di forza che preparerà il terreno alla sfida più ambiziosa lanciata dalla tv berlusconiana: portare sul piccolo schermo miti e icone della american way of life attraverso lo sport, il cinema, i telefilm, la musica e, naturalmente, la pubblicità. Lo snodo decisivo di questo processo fu senza dubbio la serie tv Dallas, anch’essa strappata alla Rai, che pure aveva trasmesso per prima una manciata di episodi nell’inverno del 1981. Una potentissima famiglia texana, gli Ewing, affari sporchi, sesso, intrighi, tradimenti: gli ingredienti di Dallas annunciano per certi versi il mutamento di segno antropologico e culturale che il nostro Paese completerà alla fine del decennio, sulla scia della televisione commerciale e dei suoi programmi di punta.

Guadagnata la fiducia dei telespettatori, non ci volle molto per conoscere il vero obiettivo di Canale 5: insidiare il primato della televisione pubblica grazie alla «controprogrammazione», che si basava su contenuti particolarmente appetibili per il grande pubblico – come i film delle major d’oltreoceano proposti in prima serata – o sulla scoperta di fasce orarie fino a quel momento ignorate dalla Rai. Nascono così i programmi del mattino (Buongiorno Italia, ispirato a Good Morning America della ABC, con Marco Columbro e Antonella Vianini), le trasmissioni di mezzogiorno (il gioco a premi Bis, condotto dal volto-feticcio di Canale 5, Mike Bongiorno) e l’appuntamento quotidiano con i grandi classici del cinema italiano e americano, Pomeriggio con sentimento, ideato dal primo direttore del palinsesto, Carlo Freccero.
In molti proveranno a riproporre la formula vincente di Berlusconi, passato pressoché indenne dal coinvolgimento nelle trame eversive della loggia massonica P2: su tutti Angelo Rizzoli, editore dell’effimera Prima rete indipendente, Edilio Rusconi – a cui si deve la fondazione del circuito Antenna Nord, che dal 1982 assumerà il nome di Italia 1 – e la famiglia Mondadori, che lancerà nello stesso anno Retequattro. Nessuno di essi riuscirà realmente a minacciare l’egemonia della tv di Berlusconi che, nel giro di due anni, acquisirà prima Italia 1, poi Retequattro, letteralmente dissanguata dal confronto diretto con il Biscione, molto più competitivo del rivale sul fronte della raccolta pubblicitaria. Alla fine dell’estate 1984, dunque, la scalata dell’imprenditore milanese all’etere italiano può dirsi conclusa: con la nascita dell’impero Fininvest, la televisione commerciale vive la sua stagione più fortunata e spavalda, nella quale i grandi varietà del sabato sera (come Premiatissima, la risposta di Canale 5 al Fantastico della tv pubblica) convivono con la comicità a presa rapidissima di Drive in, in onda su Italia 1, i telefilm, le soap opera e i cartoni animati di importazione. E sarà proprio una delle serie animate più amate dai bambini, I Puffi, a incarnare plasticamente l’indignazione dei telespettatori delle reti Fininvest, scesi in piazza per protestare contro la decisione dei pretori di Roma, L’Aquila e Torino di spegnere gli impianti di trasmissione di Canale 5, Italia 1 e Retequattro.

Le ordinanze dei pretori – motivate dalla violazione della sentenza della Corte Costituzionale che obbligava le televisioni private a irradiare i loro programmi solo in ambito locale – scateneranno una singolare ondata di protesta in molte città italiane, assecondata con abile tempismo dal governo Craxi (e, ovviamente, dallo stesso Berlusconi): il 20 ottobre del 1984, quattro giorni dopo l’interruzione dei programmi, il consiglio dei ministri licenzia il primo di una serie di decreti che autorizzeranno le reti Fininvest a riprendere regolarmente le trasmissioni. Un incrocio fatale tra politica e televisione che non sarebbe rimasto isolato: meno di dieci anni dopo, la guerra delle antenne ingaggiata da Silvio Berlusconi traslocò fragorosamente nei palazzi del potere.

Già pubblicato su L’Altravoce dei Ventenni-Quotidiano del Sud 28/09/2020