Qual è il minimo comune denominatore dell’odio?

Di Marilù Greco

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 Se si tratta dell’odio, impossibile non fare riferimento al ‘900 e al periodo, dunque, che ha segnato un’impressionante esplosione di odio contro gli ebrei, contro gli stranieri, contro i prigionieri di guerra, contro i civili, contro i diversi in senso lato. Impossibile non ricordare i regimi totalitari ed in generale quell’odio inspiegabile profuso dagli esecutori degli ordini materiali che hanno fatto (ahimè) migliaia di assassini efferati durante la Seconda guerra mondiale.
Le cause di una simile situazione non sono chiare e sociologi, giuristi, filosofi ancora oggi, dopo un secolo, si domandano il motivo di tanta efferatezza. Se risulta impossibile soffermarci sull’analisi di questa intricata situazione, per la sua intrinseca complessità, niente però ci vieta di soffermarci a ricordare qualche aneddoto e vicenda dei dittatori più efferati del ‘900, Hitler  e Stalin, soprattutto riferibile alla loro infanzia, che permette di tracciare i confini di un inquietante comune denominatore.

Cominciamo da Hitler. Adolf Hitler – cognome tra l’altro assegnatogli per un errore anagrafico del parroco, perchè il cognome del padre era Hidler – era, contrariamente a quanto si possa pensare, un cittadino austriaco, dall’infanzia problematica e burrascosa. Il padre era un uomo violento, dedito all’alcool, alle donne e che, di frequente, picchiava la moglie e i figli. La madre di Hitler, invece, aveva nei suoi riguardi un atteggiamento iperprotettivo, quasi morboso, ossessionata dalla pulizia e dall’ordine.

Sulla sua cartella elementare la maestra aveva scritto: “ha un cattivo carattere e cerca sempre di essere il capo“. Le premesse quindi vi erano tutte fin da bambino.

Se si scruta l’infanzia di Stalin ci si rende conto che, in definitiva, non è stata molto dissimile da quella di Hitler. Anche suo padre era violento e iroso e, addirittura, impedì al figlio di frequentare la scuola per lavorare in una fabbrica di scarpe e utilizzarne i guadagni per pagarsi l’alcool, causa, tra l’altro, della sua stessa morte – che fu accoltellato proprio in una rissa post sbronza.

Comune denominatore, dunque, l’ambiente familiare difficile e violento in cui nacquero.Certo non basta l’analisi di due personalità a trarre un principio di ordine generale, ma questi due esempi sono emblema di studi psicoanalitici in cui si dimostra che le persone più dedite all’odio e alla violenza sono proprio quelle che hanno subito un’infanzia difficile.
Gli psicanalisti hanno tra l’altro osservato come esperienze analoghe siano presenti anche nelle storie dei più grandi serial killer della storia.
L’odio, quindi, come la più grande forma di abnegazione dell’amore, che induce il soggetto a mettere in pratica solo quello che gli è stato insegnato e impartito sin dalla tenera età.
Ma c’è di più. Molti studiosi hanno avanzato la tesi secondo cui, molto probabilmente, Hitler fosse ebreo e Stalin omosessuale; il quadro così diventa ancora più chiaro, perché chiarisce come molte volte dietro l’odio ci sia solo la paura di ciò che si intende perseguitare. L’odio, quindi, non solo come negazione di un amore negato ma anche come paura.
Se queste tesi sui dittatori siano vere o no non è dato saperlo, né mai lo sapremo. Certo è che un recente studio genetico sui parenti di Hitler ha dimostrato che il Fuhrer non era affatto ariano, avvalorando così l’ipotesi secondo cui, in realtà, fosse ebreo. Ma questa è un’altra storia…IMG-20150319-WA0006