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Quali sono le politiche europee sulla disabilità?

Pietro Vittorio Barbieri e le politiche europee sulla disabilità

Vittorio Barbieri, Presidente del Gruppo di studio sui diritti delle persone con disabilità all’interno del CESE (Comitato Europeo Economico e Sociale), ci ha raccontato come l’Unione Europea supporta gli Stati membri nelle politiche d’inclusione lavorativa e di vita indipendente e ha spiegato come sia fondamentale una perfetta sinergia tra gli enti istituzionali e territoriali formati dalle associazioni.

  1. Ci può dire quali sono i principali temi che saranno affrontati dal CESE riguardo al mondo della disabilità?

Ovviamente il Cese fonda il suo interesse sull’agenda europea e su quella proposta dalle organizzazioni della società civile. Inoltre, il Cese ha un fondamento storico sulle questioni economiche, quindi sulla crescita e sullo sviluppo. Coerentemente al modello sociale europeo, il lavoro è il cuore del confronto. È molto importante che negli anni la disabilità sia stata anch’essa dentro questa discussione e ha portato innovazioni importanti, come ad esempio la direttiva 78 del 2000, così come quella più recente sull’accessibilità, che ci ha collocati per la prima volta come consumatori di prodotti e servizi. Se questi sono stati nessi sui quali abbiamo avuto la possibilità di essere mainstream, il livello europeo va considerato anche per altre due policy centrali: la strategia europea sulla disabilità, un piano decennale di attività iniziative per promuovere diritti, e l’attuazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilita, che ha visto l’Unione Europea essere tra coloro che l’hanno ratificata.

Lo sfondo è quello delle competenze: tutte quelle materia di welfare e di salute ed educazione sono di esclusiva pertinenza degli Stati. Qui si gioca la partita del futuro. Il diritto alla vita indipendente, il contrasto la segregazione, l’inclusione sociale dovrebbero divenire i veri i vincoli che dovrebbero entrare in moto nel momento in cui uno Stato prende le risorse stanziate da fondi come il Recovery Found.

  1. Cosa si può fare concretamente a livello europeo per promuovere il lavoro per le persone con disabilità ? 

Esistono ovviamente assi diversi e, come già detto, la direttiva 78 ne è il cuore, prevedendo che le aziende non discrimino le persone con disabilita nell’accesso all’occupazione. Lo strumento normativo consiste nell’invertire l’onere della prova: ovvero è il datore di lavoro che deve portare prove a sua discolpa nel caso in cui venga denunciato da una persona con disabilità. Ci sono diversi casi in Italia e nei tribunali europei su questo tema. Si sta formando una giurisprudenza interessante.

Tutto ciò è affiancato da clausole non discriminatorie nella spesa di ogni fondo europeo, generando implicitamente, quindi, una sorta di quota di riserva nel campo della formazione sostenuto a livello europeo, piuttosto che nell’attivazione delle start-up o quant’altro. Sta ai paesi membri, e nel nostro caso alle regioni, attivare i fondi con attenzione alle clausole discriminatorie e sta alle associazioni eventualmente controllare se ciò accade.

  1. Il lavoro, come sappiamo, è l’elemento chiave per arrivare ad una vera autonomia delle persone con disabilità e non solo, ma cosa si può fare a livello europeo per promuovere i progetti di vita indipendente in Italia e negli altri Paesi?

Come detto, questa è una materia di esclusiva competenza degli Stati membri. Oggi però ci sono due novità. L’evento pandemico sta portando ad una discussione per rivedere il modello delle care home, in cui secondo l’OMS si sono trovati il 50% dei casi di deceduti per il COVID. La discussione è in atto ma è chiaro che si sta sviluppando un’idea interventista dell’Unione Europea in materia di cambiamento del modello assistenziale. Questo potrebbe unirsi al secondo punto, ovvero al vincolo di spesa sui fondi europei. Ricordiamoci che la battaglia sul vincolo sullo stato di diritto sul NextGenerationEU parla assolutamente anche delle persone con disabilità.

4. Qual è stato l’impatto della pandemia da Covid 19 sui giovani con disabilità in Europa? Ci può fare un quadro della situazione italiana?

Verrebbe da dire che sono tra quelli che hanno pagato di più al netto di chi ha perso la vita. Il grande obiettivo per un giovane con disabilità é quello di socializzare. Per ragioni culturali e sociali esso è negato ordinariamente. La necessità di distanziamento sociale ha prodotto un ritorno indietro di almeno trent’anni, ad un periodo in cui i giovani con disabilità non esistevano neanche nel panorama scolastico. Oggi provvedimenti di chiusura delle scuole hanno generato un paradosso: tutti a casa salvo l’alunno con disabilità con l’insegnante di sostegno o l’assistente educativo. Una nuova forma di ghettizzazione dei rapporti umani. Occorre ripensare questi provvedimenti.

5 Cosa si può fare per cambiare il modello di assistenza delle persone con disabilità, basato su residenze e centri diurni, che soprattutto in questo periodo hanno evidenziato grosse criticità?

Una rivoluzione, facile a dirsi enormemente difficile a praticarla. Ci vuole un una nuova figura come Basaglia, uno che decide di licenziarsi dal manicomio poiché esso esisterà finché darà lavoro a qualcuno. Per dirla in maniera meno caustica, è necessaria una convergenza tra il diritto della singola persona e gli interessi in campo. Credo sia necessario un vaste programme, un accordo tra soggetti imprenditori profit, no profit, sindacati e associazioni per costruire una transizione equa verso il diritto alla vita adulta, l’indipendenza e il diritto di scelta. E poi un impianto normativo adeguato. Dulcis in fundo risorse importanti dato che la transizione costa.

6. Vuole inviare un messaggio alle istituzioni, le associazioni, enti del terzo settore e cittadini, che possa dare il senso del cammino ancora da percorrere?

Quanto appena detto: se vogliamo restituire davvero la dignità alle persone abbiamo bisogno di un cambio di paradigma. Thomas Kuhn colui che coniò il concetto cambio di paradigma, lo teorizzò immaginando una scoperta che faceva cambiare il percorso della storia. Ora la convenzione ONU sui diritti alle persone con disabilità già lo è. La pandemia lo impone. Adesso ci vuole coraggio di tutti, persone con disabilità incluse.

Articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei ventenni