Paolo contro Paolo. Se Virzì, ai David, sconfigge Sorrentino-Golia

Di Nicola H. Cosentino

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Si chiama David, ma è inusuale che nel cinema Italiano Golia venga sconfitto. In particolare, l’equivalente nostrano dell’Oscar – ma meno politico e parecchio più confuso – si è distinto negli ultimi anni per eccessiva riverenza nei confronti dei pezzi grossi. Basti pensare alla corsia privilegiata di Tornatore e Salvatores lo scorso anno, con due film, La Migliore Offerta ed Educazione Siberiana, che di italiano hanno soltanto il nome del regista e, con rispetto parlando, non sono nemmeno bellissimi. Nell’edizione del 2012 tra i candidati c’era This Must Be the Place, produzione italo-franco-irlandese girata interamente in inglese da Paolo Sorrentino. Vinsero, quell’anno, come migliori attori, un francese (il grande Michel Piccoli) ed una cinese (Zhao Tao di Still Life). Bravissimi, loro per davvero, ma a volte sembra che l’Ente David di Donatello e l’Accademia del Cinema Italiano la pensino così: se un film l’hanno visto, o già premiato, o interpretato, o girato, o parzialmente prodotto all’estero, con la sola firma di un regista dei nostri, allora quel film è più meritevole degli altri del titolo di miglior film italiano. Insomma, purché lo vedano all’estero vale tutto.

Per questo motivo stupisce che quest’anno sia andata diversamente, con un premio Oscar italianissimo – La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino – sconfitto da Il Capitale Umano di Paolo Virzì. Dispiace per chi ha amato il film iconico con Toni Servillo, che ha vinto come attore protagonista, ma fa piacere constatare che la critica italiana riprenda a pensare con la propria testa dai tempi in cui uscì Lola Corre (1998) e piacque a tutto il mondo fuorché, coraggiosamente, a noi. Il Capitale Umano si prende anche tre statuette per le interpretazioni (attrice protagonista Valeria Bruni Tedeschi, non protagonista Valeria Golino e attore non protagonista Fabrizio Gifuni) e tre per sceneggiatura, montaggio e sonoro. Tutto il resto è di Jep Gambardella, che regala a Sorrentino la miglior regia e a Indigo Film la statuetta per i produttori Nicola Giuliano e Francesca Cima. I Premi Speciali sono per Sofia Loren, di recente tornata al cinema con La Voce Umana, tratto da Cocteau e diretto dal figlio Edoardo Ponti, Andrea Occhipinti, Marco Bellocchio, Riz Ortolani (postumo) e Carlo Mazzacurati (postumo), il cui ultimo film La sedia della felicità era in gara per diversi riconoscimenti. A mani vuote il documentario vincitore di Venezia 70 Sacro Gra, sconfitto da Stop the Pounding Heart – Trilogia del Texas, atto III di Roberto Minervini. Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, vince come miglior regista esordiente per il film La Mafia Uccide Solo d’Estate. Grandi esclusi, Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, Premio della Giuria a Cannes, ed Incompresa di Asia Argento, che comunque può stare serena, visto che il David l’ha premiata, nella sua carriera, con lo stesso numero di statuette che ha assegnato ad Anna Magnani (due). Nota dolente, la maledetta conduzione di Paolo Ruffini che, in ordine, ha dato della topa a Sofia Loren (Loren: “Non conosco il suo dialetto”), ha chiesto a Sorrentino a cosa servissero i produttori (Sorrentino: “Mettono i film nel cinema e la gente li va a vedere”) e si è complimentato con Marco Bellocchio per la recente retrospettiva al MOMA di NY a lui dedicata, dicendogli “Finalmente l’hanno scoperta anche in America”. Verrebbe da sperare che la assegnino a Belen, la serata, che almeno è furba come una volpe e non dice stronzate alla gente più famosa di lei.

In ogni caso, è il miglior David di Donatello dai primi Duemila, praticamente. E se La Grande Bellezza è il più memorabile, Il Capitale Umano è davvero il miglior film e l’unica forte eccezione di questa stagione fortunata ma un po’ priva di struttura e concretezza. Virzì mette da sempre le toppe alle mancanze di tutti gli autori italiani e confeziona un film perfetto e mai banale, che senza buchi narrativi fotografa l’Italia in maniera forse opposta alle diapositive americane di Sorrentino, ma con più attenzione e tanta pietà nei confronti dei suoi personaggi. L’alternativa ai due splendidi colossi era Smetto Quando Voglio, Breaking Bad edulcorato diretto da Sidney Sibilia e partito forte di 12 candidature, tra cui quella come attore protagonista al lanciatissimo (era ora) Edoardo Leo. Nessun premio, ma incassi che – pur sessantuplicati dall’implacabile Checco Zalone – fanno sperare i produttori Procacci e Rovere.

Un anno strano, per il cinema italiano. Abbiamo vinto l’Oscar, il Golden Globe, il Leone d’Oro, il Grand Prix a Cannes e pure il Marc’Aurelio d’oro (vabbè). Ed in gran parte per film diversi. Non ci siamo più abituati. Conviene prendersi una lunga pausa da questo imbarazzante successo e tornare a lamentarci di noi stessi. Il massimo, in verità, sarebbe vincere in Brasile. Poi, davvero, tutti fermi per dieci anni a fare la parte di quelli in crisi. Again.