Mia Madre di Nanni Moretti – Il film: una definizione contro la retorica

 

Di Nicola H. Cosentino mia-madre

Qualche sera fa mio padre mi chiedeva chi fosse, secondo me, il più grande regista italiano vivente. E’ una domanda bella da sentire, divertente per chi deve rispondere, ma – lo sapevamo entrambi – un po’ americana. “I più grandi” sono una cosa da chart di Rolling Stones, quelli per intenderci che hanno stilato la classifica dei 100 migliori album italiani di sempre e hanno messo al primo posto Bollicine di Vasco Rossi. Ivan Graziani, Piero Ciampi, I Bluvertigo e Il Balletto di Bronzo sono in fondo di parecchio. Pierangelo Bertoli nemmeno c’è, vabbé. In gni caso, alla domanda americana di quel furbone di papà – postami mentre guardavamo Habemus Papam – ho risposto alla francese. Ho detto che, sempre secondo me, il più grande regista itaiano vivente è Marco Bellocchio. E che Nanni Moretti, di cui implicitamente stavamo entrambi parlando, è il più grande autore italiano vivente. Sono cose diverse. Parliamo di cinema, non di canzoni, quindi la parola “autore” va intesa in quel senso lì, à la Cannes. “Vivente” va intesa invece nel senso che vive.

Ora, la discussione mia e di mio padre su autori e registi, proprio come la messa in onda di Habemus Papam su Rai 3, era marketing, cioè un piazzamento del topic Nanni Moretti a distanza di un giorno dal’uscita di Mia Madre. Che io, forte della mia sentenza sul più grande, sono andato a vedere allo spettacolo delle 22.30 presso il cinema dove vidi il mio primo film all’età di sei anni, Cinema Citrigno, via Adige 16, Cosenza, numero (a memoria!) 0984 25085. Sono andato a vedere Mia Madre con mia madre, appunto, e la mia ragazza. Mi sono anche prenotato la locandina, prima di entrare. Che dice “Eh, hai troppe aspettative”. E invece no, non erano abbastanza.

 

Di Mia Madre, che ci rappresenta a Cannes insieme a Youth di Paolo Sorrentino e Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, ho letto tante cose e tante cose potrei dire io. Nel senso che sì, è commovente, è divertente, è bello da seguire, è ben recitato e tutto il resto. A me per esempio ha messo una gioia immensa: per soddisfazione, realizzazione, umanità e senso di bellezza. Mi ha fatto pensare alle persone, che è una cosa banale ma utile alla mente quanto la Settimana Sudoku, e di aver ceduto spesso di fronte a opere più influenti ma meno potenti. Di aver detto “Bello” di film raccontati poco e male, ma magari girati benissimo. Mi sono fatto ingannare dal paradosso del cinema, che contiene in sé i più importanti metodi per raccontare e sempre più frequentemente ne utilizza solo uno, o due, e dimentica la scrittura. E invece nell’epoca che ci ha scoperto esteti della totalità, fan della magnificenza – un’era di mezzo che ha le fattezze degli ’80, lo scazzo terrificato dei ’70 e l’illusione dei ’90 – un fim dal titolo Mia Madre sulla morte di una donna anziana che per giunta insegna latino, una cosa comune e poco accattivante, mi ha ricordato quel che significa raccontare una storia e amare un film. Un bel film. Niente giochi di camera, trivellazioni su artisti indecisi tra Nietzsche, Sartre e Lory Del Santo, tecnicismi stupefacenti, pianisequenza ricattatori.

Un bel film, dicevo.

Se fate mente locale qualcun altro ve ne viene in mente.

 

La cosa bella è successa il giorno dopo averlo visto. Incontriamo un’amica. Si chiama Federica. E’ una persona gentile e interessata alle cose belle. Ci chiede com’è il film. Alessandra, la mia ragazza, ne parla meglio di me. Parla spesso meglio di me, perché arriva al punto, mentre io del punto ho troppo timore. Alla luce della descrizione che Ale fa e che io rafforzo con esclamazioni goffe, Federica ci dice:

‹‹Sono indecisa››

Voleva andare a vederne un altro, non sapeva a cosa dare priorità. L’altro è Into The Woods, di Rob Marshall, con Meryl Streep nel ruolo di Meryl Streep che fa il suo lavoro e quindi ti distrae da quello degli altri. Noi l’abbiamo visto, Alessandra glielo racconta. Io rafforzo il racconto con uno spoiler, stavolta, quindi da lì in poi decido di tacere. Federica allora si decide, e dice una cosa straordinaria. Dice:

‹‹Allora non me lo vedo Into The Woods. Mi vedo il film, và››

Il film è Mia Madre.

Vederlo assolutamente, per i seguenti quattro motivi.

  1. “Voglio vedere l’attore accanto al personaggio”

Nanni Moretti lo dice sempre sul set, quindi nel film lo dice anche Margherita Buy, che fa la regista. Fa finta che sia incomprensibile perché per fascino è meglio che lo sia (il regista deve essere chiarissimo ma impenetrabile, paradosso numero due del cinema), ma non è poi tutta sta cosa. Da capire, intendo. C’è chi vuole Gomorra, che sembra un documentario, anche se recitano Servillo e Maria Nazionale, e chi vuole un film che si faccia riconoscere come film, tra l’altro interpretato da attori. Qua si vede, soprattutto nelle parti di grande idiosincrasia, che la Buy sta recitando. E va bene, non troppo realismo. Ma la cosa bella è che in effetti l’attore sta accanto al suo personaggio fin dalla locandina. Cioè la Buy accanto a Moretti. Chiaro no?

  1. Il dativo di possesso

Vai a vedere che – come la mamma vecchia emoziona più del mirabolante senso della vita – il latino vince 1-0 sull’inglese. Ce lo siamo dimenticati, ma a che serve? Serve? Serve a costruire la sintassi della frase, dice Margherita (la Buy) alla figlia, che studia con poca convinzione. E’ come nel cinema, come nei sentimenti. La storia, il contenuto, l’osso strutturale, l’origine, il cuore, l’ispirazione…serve ancora, o basta quello che sta intorno, quello che è venuto dopo? Le parole sono ancora importanti? Sono importanti. Altrimenti starei scrivendo di un goffo e noioso fallimento.

  1. La retorica

Alla retorica – il nemico storico di Nanni Moretti – si risponde da sempre col contenuto. Ecco spiegato perché fa i film per bene: ha un nemico all’altezza. Non aggiungo altro perché due parole sulla retorica generano retorica e il vortice potrebbe essere infernale.

  1. Giulia Lazzarini

In un film di attoroni relativamente più in vista – la Buy che sta accanto al suo personaggio, Enrico Ianniello, John Turturro, Renato Scarpa in una piccola parte – Giulia Lazzarini ha steso tutti. Il suo nome non rimbomba come quello della Proclemer, anche se ha lavorato tanto con Strehler, ma la leggerezza indifesa e indifendibile di questa madre morente, col filo di voce del disfacimento e i sorrisi sperduti delle nonne e delle mamme di chiunque, che cercano la speranza tenacemente, regge da sola la parte più bella e dolorosa del film. Basta guardarla negli occhi, nei rari e intelligenti primi piani di Moretti, che subito ci vedi qualcuno per cui hai tanto sperato e che tanto ti manca. O che sta vicino a te, ma preghi possa mancarti il più tardi possibile. Il corpo della tenerezza, che suona male e si usa solo per i bambini ma ricatta più del dolore. Lazzarini ha detto di Moretti: ‹‹Sem­bra che ti scavi. Scava e scava vien fuori il per­so­nag­gio. Sei in mezzo al vento, ma sei nel giusto››. E’ sua l’ultima battuta, una delle parole più belle del mondo, tipica delle madri. E’ la risposta a una domanda. E’ la risposta a tante domande, tutte difficili.

Non ve la dico. Andate a vedere il film. Oggi. Domani.